(Adnkronos) - E adesso anche l'As Roma. Dopo Atlantia e Coima Res, un'altra società 'simbolo', la squadra di calcio di proprietà di Dan Friedkin, lascerà Piazza Affari a seguito di un'offerta pubblica. L'annuncio è di pochi giorni fa e aggiunge un tassello all'emorragia di quotate, tra nuovi delisting preannunciati e un altro fenomeno che sembra essersi acuito negli ultimi anni: l'ipo di società italiane su listini alternativi a Milano, da Wall Street ad Amsterdam. Non è un buon momento per il nostro mercato dei capitali, già sottocapitalizzato, fanalino di coda dei suoi competitor europei: ha di fronte un 2022 che si annuncia più complicato del previsto dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. E la sua capitalizzazione potrebbe scendere ancora. Gli oltre 757 miliardi circa raggiunti a fine 2021 sono scesi, a fine aprile, a quota 678 miliardi di euro. A pesare sono le vendite scattate sull'azionario dall'inizio della guerra in Ucraina. E il conto, a metà maggio, è in rosso per il Ftse Mib: dal 20 febbraio, data di inizio dell'invasione russa, l'indice ha perso oltre il 9% e la volatilità non sembra destinata ad esaurirsi presto. Tra i delisting già prenotati per quest'anno ci sono due società rilevanti, da oltre 19 miliardi di capitalizzazione in tutto: la prima è Atlantia, che lascerà la Borsa una volta conclusa l'offerta promossa da Edizione e Blackstone, e la seconda è Coima Res, che saluterà l'Euronext Milan per volere del suo azionista Qatar Holding. Secondo i rumors, non è escluso che della galassia Edizione anche Autogrill possa lasciare la Borsa, se il riassetto e la fusione con Dufry dovesse diventare concreto. Oltre all'As Roma, un altro delisting possibile nel 2022 sarebbe quello di Cellularline, a cui Esprinet ha presentato una manifestazione di interesse. A fine anno, è atteso il delisting di Cattolica Assicurazioni, dopo l'opa di Generali conclusa a novembre scorso, mentre è imminente quello di Falck Renewables e La Doria. Luxottica, invece, ha annunciato l'acquisizione di Fedon, a cui dovrebbe seguire il delisting. Nel febbraio 2022 ha lasciato i listini anche Cerved, dopo un'opa, e poco prima è stata la volta di Bim. Il "fuggi-fuggi" è compensato da una serie di ammissioni: l'ultima più rilevante è Iveco Group e nell'anno iniziato sono attese anche altre due big: Plenitude e Sisal. Tuttavia, per un mercato piccolo e ancora sottodimensionato come quello italiano ogni delisting può diventare un problema sul fronte della capitalizzazione complessiva. Oltre a questo, la Borsa italiana sembra scontare un deficit di attrattività rispetto ad altri mercati, tanto che dal 2021 alcune società italiane hanno scelto di quotarsi altrove. E' il caso di Stevanato Group, che ha lanciato la sua ipo a Wall Street, di Genenta e di Ermenegildo Zegna, che hanno scelto il Nasdaq. Vam Investments Spac si è quotata invece ad Amsterdam. Questo è un aspetto legato anche al quadro normativo di riferimento, come sottolinea anche l'ultimo Italian Capital Market Monitor realizzato da Equita. L'anno scorso, nonostante il buon andamento del Ftse Mib, le operazioni azionarie hanno raccolto solo poco più di 8 miliardi di euro. A Parigi i miliardi sono stati 19, a Francoforte 35 e a Londra 55. "La verità è che in Italia non c'è una leva fiscale che incentivi l'equity in tutte le sue componenti, comprese le quotazioni in Borsa. E questo è un peccato, è assurdo", sottolinea Stefano Caselli, professore ordinario del dipartimento di Finanza dell'Università Bocconi che da trent'anni, da studioso, si occupa dell'argomento. "Ad esempio - spiega all'Adnkronos - si potrebbe incominciare a parlare di aliquota Ires differenziata, più bassa, per le aziende che pensano di quotarsi". Sui delisting non c'è invece da scandalizzarsi: "Viene sempre visto come una fuga dalla Borsa, ma fa parte del ciclo di vita di qualsiasi società. Se guardo a una storia come quella Atlantia vedo che ha avuto un suo percorso, adesso bisogna capire cosa vorrà fare; lo stesso è successo a Sias del gruppo Gavio. Non è escluso che queste aziende, nel caso in cui i private equity facciano il loro lavoro, possano tornare in Borsa tra cinque anni. Il delisting non è mai una fuga da un mercato perché non piace, è spesso funzionale alle strategie di una società e ai suoi investitori". L'importante, argomenta, "è la capacità di un listino di attrarre altrettante società, deve esserci sempre una pipeline interessante". Borsa Italiana, secondo Caselli, "finora ha fatto un ottimo lavoro, basti pensare a iniziative come Elite". Ora che fa parte del gruppo Euronext, però, un listino come quello della Borsa di Milano "deve distinguersi, diventare attrattivo per qualcosa di speciale". In più, "deve spingere le medie e le medio grandi imprese ad andare in Borsa. Non bastano le piccole e le grandi". In futuro, quello che si rischia è "avere in Borsa grandi imprese tradizionali, con ambizioni globali, e aziende molto piccole, senza avere la parte in mezzo, che è quella che fa l'ossatura delle Borse". (di Vittoria Vimercati)
(Adnkronos) - La gran parte dei dirigenti italiani apprezza la riforma del catasto, trova giusta la rivalutazione degli immobili e l’emersione di quelli sconosciuti al fisco, anche se teme che senza opportuni correttivi possa portare ad un aumento indiscriminato della tassazione. Queste sono alcune delle principali posizioni che emergono dal sondaggio realizzato da AstraRicerche per Manageritalia, su un campione significativo di quasi 1.000 manager e professionisti del terziario in tutta Italia, sugli oltre 38.000 associati, che si propone di misurare la conoscenza e l’apprezzamento della riforma fiscale da parte dei dirigenti d’azienda. Così il 75 % dei manager intervistati giudica positivamente l’impegno del Governo di riaggiornare il valore degli immobili con la riforma del catasto, che considera uno degli strumenti principali per recuperare tributi senza appesantire il carico fiscale sul ceto medio che, nella situazione attuale, è il più penalizzato. Oltre alla riforma del catasto, i manager intervistati considerano prioritarie la lotta all’evasione, la semplificazione della normativa tributaria e il bilanciamento del carico fiscale tra lavoratori autonomi e dipendenti, troppo favorevole ai primi. A maggior ragione la flat tax del 15%, oggi riproposta, viene giudicata iniqua dal 73% degli intervistati (condivide il giudizio negativo anche il 65% dei professionisti associati oggetto del sondaggio), mentre oltre il 90% degli intervistati concorda nel ritenere la riforma del fisco un’occasione unica per contribuire, al di là della contingenza del Pnrr, ad un rilancio strutturale dell’economia del paese. Inoltre, per la gran parte degli intervistati non si può prescindere dall’abbattimento del cuneo fiscale, che drena risorse ad aziende e lavoratori senza risolversi in una restituzione di servizi di pari valore da parte dello Stato. La formula progressiva delle aliquote, che aumentano al crescere del reddito, è considerata il migliore dei sistemi applicabili ai redditi da lavoro, la cui pressione dovrebbe essere però mitigata da un innalzamento della tassazione sulle rendite c.d. improduttive (immobiliari, finanziarie, etc.). Il presidente di Manageritalia Mario Mantovani ha commentato l’esito del sondaggio sui propri associati: “I manager italiani con grande senso di responsabilità si dimostrano ancora una volta disponibili a contribuire con risorse proprie alla fiscalità del Paese, ma chiedono che le riforme del fisco siano strutturali e universali, orientate al miglioramento duraturo dei conti pubblici e non utilizzate per inseguire gli interessi particolari di singole categorie”, ha concluso.
(Adnkronos) - Installare un impianto fotovoltaico in casa è davvero conveniente? Se si sceglie con attenzione, l’investimento in pannelli fotovoltaici si ripaga mediamente in 10 anni. In questa fase di crisi energetica, però, la spesa iniziale può essere più alta e ripagata in 15-20 anni. Così Altroconsumo che fornisce alcuni consigli per rendere questo investimento proficuo. Indicazioni che rientrano tra le iniziative del progetto Resss (Rendiamo semplici le scelte più sostenibili), finanziato da Mise, che ha l’obiettivo di informare i consumatori su requisiti e modalità per la richiesta di bonus, promuovendo l’accesso agli incentivi attuali messi a disposizione dal governo. Secondo l'organizzazione di consumatori, fare diversi preventivi, se si sta valutando di installare un impianto fotovoltaico, è fondamentale per comparare i materiali proposti e poter scegliere l’impianto che più si addice alle esigenze della propria casa. Inoltre, questo permette di ridurre di molto i costi. La convenienza di questo tipo di fonte rinnovabile dipende dal consumo elettrico medio dell’abitazione e dal corretto dimensionamento dell’impianto. Inoltre, va considerato il meccanismo dello 'scambio sul posto', il sistema regolato dal Gse (Gestore dei servizi energetici), per compensare l’avanzo di energia elettrica prodotta da un impianto privato, che viene immesso nella rete nazionale perché non consumato. "L’energia utilizzata attraverso il proprio impianto durante le ore solari è gratuita, ma durante le ore serali la corrente costa cara, ed è proprio qui il segreto per risparmiare", sottolinea Altroconsumo. Infatti, il Gse riconosce tra i 7 e i 10 centesimi a kilowattora per l’energia donata alla rete, mentre l’energia prelevata dalla rete costa in media 35 centesimi al kWh nel mercato tutelato. Per un impianto fotovoltaico davvero conveniente bisogna spostare la maggior parte dei propri consumi di elettricità nelle ore di Sole sfruttando subito l’energia prodotta dall’impianto, evitando di pagare l’energia prodotta della rete (attualmente rincarata anche dell’80%) - spiega l'organizzazione - Inoltre, per installare un impianto fotovoltaico, è opportuno avere consumi annuali sopra i 2.500-3.000 kWh, scenario tipico di una famiglia di quattro persone. Secondo l'analisi di Altroconsumo, per una casa senza fotovoltaico il costo della bolletta elettrica risulta il più alto, oltre 1.200 euro l’anno, ma in questo scenario non ci sono investimenti iniziali da sostenere né costi di manutenzione. Considerando invece l’energia prodotta da un impianto fotovoltaico da 3kW di potenza, la spesa della famiglia scende a 790 euro l’anno; quindi l’investimento nel fotovoltaico, se fatto correttamente, si ripaga bene e permette un buon risparmio in bolletta. La spesa elettrica più contenuta è quella di un impianto fotovoltaico ad accumulo, dotato di batteria - si legge - quest’ultimo permette di pagare da subito la bolletta più leggera (588 euro all’anno), ma l’intero investimento si recupera in circa 15 anni. La batteria è una componente costosa, che fa alzare di molto il prezzo dell’intero impianto. Anche per questo motivo occorre dimensionarla correttamente sui propri bisogni: di certo non sarà conveniente per una famiglia con un consumo domestico contenuto.