(Adnkronos) - Centinaia di tricolori sotto la sede di Casapound in via Napoleone III a Roma e uno slogan, "Draghi vattene", per il sit in 'spontaneo' organizzato dal movimento dopo che il corteo preavvisato che sarebbe dovuto partire da piazza Santa Maria Maggiore è stato vietato dalla questura di Roma per motivi di ordine pubblico. Sul palazzo occupato dal movimento diversi striscioni che spiegano i motivi della protesta. "Ecco perché Casapound non deve manifestare: 1.384.000 nuovi poveri, 10mila imprese fallite, +30% costo pane, benzina, luce e gas, 58esimo posto per la libertà di stampa", spiega Luca Marsella, portavoce di CasaPound Italia, il primo a prendere la parola prima ancora che inizi il comizio, che prevede interventi dello stesso Marsella, del fondatore del movimento Gianluca Iannone e di Sergio Filacchioni, responsabile del Blocco studentesco nazionale. "Oggi ci riprendiamo la libertà - dice Marsella - Il divieto che ci è stato imposto viene soltanto da pressioni politiche e dalla volontà del Pd, ed è inaccettabile. A CasaPound sono state sempre rivolte accuse pretestuose ma non eravamo mai arrivati a questo punto. A quelli che ci sventolano in faccia la Costituzione diciamo: 'O ci mettete fuorilegge o ci consentite di manifestare'". Marsella rivendica poi i 18 anni di esistenza di Casapound e aggiunge: "Oggi siamo qui perché, pur non avendo accettato il divieto della questura, abbiamo dimostrato ancora una volta senso di responsabilità, spostando il sit in sotto questo palazzo che dà tanto fastidio ai più". Tuttavia, ribadisce, "questa era una manifestazione contro il governo e non sulle strumentalizzazioni che sono state fatte. Abbiamo 1,5 mln e mezzo di nuovi poveri, abbiamo 10mila aziende che sono fallite, l'Italia al 58esimo posto per la libertà di stampa. Ci sono stati aumenti sulle bollette, sulle materie prime, sulla benzina e su tutto questo il governo Draghi non ha dato nessuna risposta. È soltanto esecutore di interessi sovranazionali e non certo di interessi del popolo italiano. Ma noi siamo il popolo italiano". Piccolo colpo di scena poi, quando il leader storico del movimento, Gianluca Iannone, si affaccia alla finestra del palazzo occupato per un mini-comizio: "Già leggo i giornali di domani 'a Casapound fanno i discorsi dai balconi', ma questa è una finestra no?'", scherza Iannone. Spazio anche all'attualità con la questione Ucraina e il caso alpini. "La nostra posizione sulla Russia è chiara: dobbiamo uscire dal discorso delle tifoserie, Casapound sì sta con il popolo ucraino, ma non sta con la Nato", dice Marsella, rispondendo a una domanda sulla guerra. Mentre, sul caso delle presunte molestie a Rimini, il commento è tranchant: “Per una settimana il problema dell’Italia sono stati gli Alpini perché hanno fatto degli apprezzamenti su alcune donne... Ma che s'erano bevuti?". La manifestazione si chiude alle 19 senza nessuna tensione, con via Napoleone III che viene riaperta al traffico, dopo un pomeriggio di stop alle auto e presidio delle forze dell'ordine, con tanto di elicottero a sorvolare la zona. Al presidio si stima la partecipazione di circa 400 persone. In contemporanea, a piazzale Tiburtino, il presidio degli antifascisti (Fronte gioventù comunista), un'ottantina di persone, un sit in anche in questo caso pacifico e senza problemi di ordine pubblico.
(Adnkronos) - "Il ruolo dell'attività investigativa, che è un esercizio essenziale che spesso si dimentica, è fondamentale per essere l'altra voce all'intero del processo. Io stesso sono un errore giudiziario vivente. Nella mia esperienza politica e amministrativa sono stato oggetto di errori giudiziari da quando sono entrato in politica. Sono l'unico dei parlamentari che siede al Senato che ha sulle spalle 7 processi penali per poi vedersi assolto". A dirlo Massimo Mallegni, vice presidente del gruppo di Forza Italia al Senato, in videocollegamento telefonico al 65simo congresso nazionale Federpol. "In Italia - rimarca - quella che manca è la notizia dell'assoluzione; così come nelle indagini la spettacolarizzazione della notizia di reato è più importante che conoscere le attività degli investigatori privati che portano alla luce la totale innocenza dei loro assistiti". "I cittadini - aggiunge - pretendono la verità giudiziaria, perché le famiglie vengono tranciate dalle vicende; tutti abbiamo una famiglie e un'attività che vengono stuprate dalle indagini giudiziarie, per questo il lavoro di investigazione deve essere valorizzato per garantire la giustizia all'interno del nostro Paese".
(Adnkronos) - Dall'inizio della guerra in Ucraina, Greenpeace è scesa in campo, anzi in mare. Una lotta di Davide contro Golia che vede gli attivisti, sulle loro piccole imbarcazioni, andare a intercettare le grandi petroliere russe nei mari di Danimarca, Svezia, Regno Unito, Belgio, Olanda, ma anche in Italia di fronte a Siracusa e Trieste. L'obiettivo delle azioni di protesta è sempre questo: il petrolio russo non deve sbarcare. Azioni di protesta che voglio anche "denunciare l'atteggiamento ipocrita dell'Unione Europea" perché con il petrolio venduto all'Ue, Regno Unito compreso, "la Russia sta guadagnando circa 200 milioni di euro al giorno, secondo i nostri calcoli", dice all'AdnKronos Alessandro Giannì, direttore Campagne di Greenpeace. L'associazione ambientalista monitora e intercetta le petroliere russe con i loro carichi da decine e decine di milioni di euro. Per farlo, ha messo a punto un sistema su twitter, "il Tanker Tracker - spiega Giannì - che si basa su dati pubblici liberamente disponibili anche dal sito Marine Traffic, dati di un sistema di segnalazione di posizionamento delle grandi navi (Automatic Electrification System) che serve per identificare una nave che poi fornisce la sua rotta, insomma è una misura di sicurezza. Ovviamente le navi possono sempre cambiare rotta e destinazione ma il sistema ha funzionato più di una volta". " L'embargo al petrolio russo non è ancora iniziato, ma la situazione è curiosa: c'è stata sì una contrazione dell'import in Europa che si attesta attorno a un milione di tonnellate al giorno, ma nel frattempo in Italia le importazioni sono raddoppiate. Oggi importiamo 450mila tonnellate al giorno, soprattutto a Siracusa dove c'è una raffineria riconducibile alla Lukoil che al momento lavora solo petrolio russo, e a Trieste, da dove parte un oleodotto verso la Germania dove si trovano raffinerie controllate da Gazprom. L'Italia si mostra ancora un porta importante per queste importazioni". "La proposta dell'embargo al petrolio russo, oltre a essere lenta, è soprattutto curiosa perché di fatto dice che dobbiamo andare a cercare questo petrolio da qualche altra parte - spiega il direttore Campagne di Greenpeace - E' come avere un figlio tossicodipendente a cui improvvisamente viene meno il pusher e quello che faccio è andare a cercare un altro pusher invece di disintossicarlo". Invece, secondo Greenpeace, l'Ue potrebbe ridurre la propria dipendenza dal petrolio russo intervenendo sul settore dei trasporti, che per il 70% dipendono dal petrolio russo assorbendo i due terzi del greggio che arriva in Europa. Con soli 5 interventi questa domanda si potrebbe ridurre: vietare i voli a corto raggio, ridurre i limiti di velocità, costi ragionevoli per il trasporto pubblico e più smart working. Solo con queste semplici azioni si potrebbe ridurre la domanda di petrolio del 7%, considerando che il 25% del petrolio che si consuma in Ue viene dalla Russia. Il fatto che l'Ue non ci pensi nemmeno non ci sembra andare nella direzione corretta, oltre al fatto che così diamo il tempo ai russi di trovare altri acquirenti per il proprio petrolio". "Situazione molto grave per gli attivisti in Russia, anche di altre associazioni" "In Russia c'è un ufficio di Greenpeace che, ovviamente, è in grande difficoltà - dice Giannì - Ed è in difficoltà non solo Greenpeace: bisogna rendere merito a tante altre organizzazioni che sin dalla prima settimana dello scoppio del conflitto hanno preso una posizione molto netta contro la guerra. La situazione è molto grave. Noi, anche per motivi di sicurezza, manteniamo al minimo le comunicazione con i nostri colleghi però è chiaro che è una situazione terrificante nella quale non pensavamo davvero di ritrovarci ancora. Il clima di guerra riduce sempre gli spazi di democrazia. In Ucraina non c'è un ufficio di Greenpeace ma operiamo con numerose associazioni sul posto ed è un legame che continuiamo a tenere vivo soprattutto dal versante dei Paesi Est europei. Greenpeace, per quello che può, continua a sostenere l'impegno di chi offre rifugio e assistenza alle troppe persone che fuggono da questo conflitto insensato". di Stefania Marignetti