(Adnkronos) - Quanto spendono le Regioni italiane per servizi di sorveglianza, custodia e accoglienza? A calcolarlo un report realizzato per l’Adnkronos dalla Fondazione Gazzetta Amministrativa della Repubblica italiana, che, nell’ambito del progetto ‘Pitagora’, ha stilato una classifica dei costi sostenuti nel 2020 dalle Regioni (per questa voce di spesa non sono presi in esame i dati dei capoluoghi di Provincia in quanto in questo caso non comparabili) per il mantenimento dei loro uffici e delle loro strutture, con tanto di assegnazione di rating. Il Centro Ricerche della Fondazione, infatti, analizza tutti i dati finanziari ufficiali dell'ente pubblico in questione e attraverso algoritmi di ricerca scientifica individua potenziali sprechi, ovvero spese critiche nei conti pubblici. Le spese dell'ente in relazione alle singole voci vengono confrontate con il benchmark di riferimento e, a seconda dei livelli di scostamento di spesa individuati, si parla di ‘performance positiva’ (quando la spesa è inferiore o uguale alla media), ‘scostamento lieve’ (quando la spesa è compresa tra la spesa media e il 30% in più), ‘scostamento considerevole’ (quando la spesa è compresa tra lo scostamento lieve e il 100% in più), ‘spesa fuori controllo’ (quando la spesa supera di oltre il 100% la spesa media). Il rating - che si basa esclusivamente su dati contabili oggettivi scevri da qualsiasi valutazione discrezionale - assegna alla migliore performance la tripla 'A', mentre alla peggiore viene attribuita la lettera 'C'. Piemonte, Umbria e Sicilia AAA in spesa per servizi sorveglianza - Piemonte, Umbria e Sicilia sono le Regioni italiane più ‘virtuose’ nelle spese sostenute per servizi di sorveglianza, custodia e accoglienza. Sono le uniche tre ad aggiudicarsi il rating complessivo AAA nella speciale classifica elaborata per l’Adnkronos dalla Fondazione Gazzetta Amministrativa. In particolare, per questo tipo di spese, nel 2020 il Piemonte ha speso 1.148.478,37 euro, l’Umbria 8.497,73 euro e la Sicilia 1.312.954,28 euro (TABELLA 1 - TABELLA 2). Tra le Regioni più efficienti per questa voce, con un rating compreso tra A e AAA, ne troviamo altre tre con la doppia AA - Emilia-Romagna (2.042.667,12 euro), Puglia (1.342.790,77), Veneto (1.458.603,61) - e due con la A: Abruzzo (858.850,09), e Marche (938.730,32). Tra le Regioni con performance ‘intermedie’ figurano, invece, con BBB Liguria (1.485.749,31 euro), Lombardia (10.468.087,54) e Toscana (3.766.909,82), con la BB Calabria (2.160.517,60) e con la B Campania (7.965.552,34) e Lazio (11.624.489,39). Mentre risultano non comparabili per questa voce i dati di Friuli Venezia Giulia, Molise, Sardegna, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta. Basilicata meno efficiente in spesa servizi sorveglianza con rating C - La Basilicata è la Regione meno efficiente nelle spese sostenute per servizi di sorveglianza, custodia e accoglienza. E’ l’unica a ricevere la ‘C’, il rating peggiore assegnato dalla classifica. Nello specifico, per questa voce, nel 2020, la Basilicata ha speso 2.488.350,89. Una cifra, tuttavia, in diminuzione se comparata agli anni precedenti, quando aveva fatto registrare nel 2017 3.601.825,08 euro, per balzare nel 2018 a 4.540.954,48 e ridiscendere nel 2019 a 3.719.360,96. Discesa proseguita, appunto, anche nel 2020. A Sardegna record spesa servizi sorveglianza - La Sardegna è la Regione italiana che, in valore assoluto, detiene il record per le spese sostenute per servizi di sorveglianza, custodia e accoglienza: 12.382.500,92 euro nel 2020, emerge ancora dalla classifica. Al secondo posto, subito dopo la Sardegna, viene il Lazio, con una spesa di 11.624.489,39 nel 2020, e al terzo la Lombardia, con 10.468.087,54 euro. A distanza, seguono la Campania con 7.965.552,34 euro e poi - con una spesa compresa fra 2 e 4 milioni - Toscana (3.766.909,82), Friuli Venezia Giulia (2.809.053,68), Valle d’Aosta (2.498.220,18), Basilicata (2.488.350,89), Calabria (2.160.517,60), Emilia-Romagna (2.042.667,12). In Umbria la spesa più bassa - L’Umbria è la Regione italiana che, in valori assoluti, ha la minore spesa sostenuta per servizi di sorveglianza, custodia e accoglienza: 8.497,73 euro nel 2020. Subito dopo l’Umbria, fra le Regioni che spendono meno per questa voce, sempre in valori assoluti, si trovano (tutte con valori sotto il milione): Trentino Alto Adige (856.598,79), Marche (938.730,32) e Abruzzo (858.850,09). Bassi, e compresi fra 1 e 2 milioni, anche i valori di: Liguria (1.485.749,31 euro), Veneto (1.458.603,61), Puglia (1.342.790,77), Sicilia (1.312.954,28), Piemonte (1.148.478,37).
(Adnkronos) - "Continua il buon andamento del mercato della casa vacanza messosi in moto dopo il primo lockdown e non ancora rallentato. Da sottolineare, al contrario, la crescita della percentuale di acquisto di case vacanza che nel 2019 si attestava al 5,8%, per poi salire al 6,5% del 2020, fino ad arrivare al 6,9% del 2021. Queste percentuali confermano come la pandemia abbia spinto un maggior numero di persone all’acquisto di case vacanza sia al mare, sia al lago, sia in montagna". Lo dice all'Adnkronos/Labitalia Fabiana Megliola, responsabile Ufficio studi Gruppo Tecnocasa. "Questo dinamismo - spiega - si è traslato anche sui prezzi che sono in aumento: al lago (+1,8%), al mare (+1,7%) e in montagna (+2,6%). In generale la domanda, che si è sempre orientata su bilocali e trilocali, dopo il lockdown sta virando sempre di più sulle soluzioni indipendenti le cui compravendite sono in aumento negli ultimi tre anni. La presenza dello spazio esterno è sempre più importante". "Un altro fenomeno riscontrato quest’anno - fa notare - è un ritorno degli stranieri (americani, francesi, tedeschi e polacchi), sempre più interessati all’acquisto di una casa vacanza nel Belpaese, soprattutto al mare e al lago". "Bene - afferma Fabiana Megliola - al mare le località del Veneto e delle Marche e, in generale, i territori lungo la dorsale adriatica comodi da raggiungere tramite la rete ferroviaria e quelli posizionati sul litorale laziale che hanno raccolto l’importante domanda che arriva dal bacino della capitale. La ricerca delle soluzioni indipendenti e il ritorno degli stranieri sta determinando una riscoperta delle zone dell’entroterra, più distanti dal mare". "Il mercato immobiliare turistico lacustre - continua - vede ancora una volta il lago di Garda particolarmente dinamico con prezzi in aumento sia sulla sponda bresciana sia su quella veronese. La novità rispetto all’ultima analisi è la crescente richiesta avanzata dai tedeschi sul lago di Garda che stanno riversando importanti capitali sulla zona". "Tra le località di montagna - sottolinea - vanno bene quelle dell’Abruzzo i cui prezzi sono in aumento del 5,2% e del Veneto in salita del 7,7%". "Il mercato immobiliare residenziale - sottolinea Fabiana Megliola - è vivace, le incertezze in corso non stanno minando, almeno per ora, il desiderio di acquistare casa. Dopo un momento di smarrimento allo scoppio della guerra, la domanda è ripartita e l’inflazione in salita sta portando ad investire proprio sul mattone determinando un ritorno all’investimento che la pandemia aveva rallentato. Le grandi città sono sempre molto attrattive, Milano in testa con Roma che inizia a riprendersi, ma sono diverse le città più piccole che stanno prendendo piede". "Si tratta spesso - spiega - di piccoli centri, a misura d’uomo e con una buona qualità di vita (aree verdi, vicinanza al mare): Livorno, Trieste, Pesaro, Ravenna e Trento sono tra queste". "Le uniche difficoltà - avverte - si stanno riscontrando sul mercato delle nuove costruzioni: l’aumento dei costi delle materie prime e il loro più difficoltoso reperimento stanno determinando una revisione dei piani di sviluppo da parte dei costruttori". "Il 2021 - ricorda - si è chiuso con 749 mila compravendite con una crescita del 34% rispetto al 2020 e del 24% rispetto al 2019 (dati Agenzia delle entrate). I comuni non capoluogo hanno registrato un trend migliore rispetto a quelli capoluogo. Tra le grandi città, Milano chiude con una crescita delle transazioni del 24,4% rispetto al 2020 e +2,6% rispetto al 2019; la Capitale mette a segno un +31,4% e +18,5%. Bene, nel confronto con il 2020 e il 2019, Bari e Genova".
(Adnkronos) - Sono sempre di più gli italiani che consumano alimenti a base vegetale. Il basso impatto ambientale dei prodotti plant-based è una delle principali ragioni per cui 22 milioni di consumatori li scelgono, soprattutto tra gli under 35. È questa l’analisi messa a punto dal Gruppo Prodotti a base vegetale di Unione Italiana Food (Associazione di rappresentanza diretta di categorie merceologiche nel settore alimentare in Italia e in Europa). “Sappiamo con certezza scientifica che il cibo che consumiamo ha un impatto diretto sul Pianeta e sull’uso delle sue risorse naturali. Se a livello globale si dimezzasse l'assunzione di prodotti di origine animale, questo cambiamento potrebbe ‘liberare’ 21 milioni di km2 di terreni agricoli, equivalenti a quasi 3 miliardi di campi da calcio e le emissioni di gas serra potrebbero ridursi di circa il 50%", spiega Ludovica Principato, ricercatrice in Gestione sostenibile di impresa all’Università Roma Tre, in occasione della Giornata mondiale dell’Ambiente (5 giugno). "Nel caso dell’Italia - sottolinea - l’adozione diffusa di una dieta ‘flexitariana’, più ricca di alimenti di origine vegetale (come verdura, frutta, cereali integrali, legumi), avrebbe effetti molto positivi in termini di contenimento dell’impatto ambientale, rispetto all’attuale regime alimentare seguito nel nostro Paese: si produrrebbero gas serra equivalenti a 106 Mt CO2eq, anziché 186; verrebbero utilizzati terreni coltivati pari a 15mila campi di calcio, anziché 20mila; l’acqua consumata sarebbe pari a 17 km³, anziché 26, con un risparmio idrico equivalente a 3 milioni e 600mila piscine olimpioniche. Una dieta esclusivamente vegana, invece, comporterebbe solo 61 Mt CO2eq per quanto riguarda le emissioni di gas serra; 13.250 ettari di terreni coltivati, equivalenti a 13mila campi da calcio e soltanto 8 km³ di acqua necessaria (pari a 3.200.000 piscine olimpioniche piene d'acqua). Questo però non vuol dire che dobbiamo diventare tutti vegani, ma è la conferma di quanto sia importante trovare un giusto equilibrio a tavola tra i cibi che scegliamo e la frequenza con cui li consumiamo. Si può mangiare tutto, basta farlo consapevolmente”, spiega Principato. Per Salvatore Castiglione, presidente Gruppo Prodotti a Base Vegetale di Unione Italiana Food, "ormai è chiaro a tutti: i sistemi alimentari globali sono tra i principali responsabili delle emissioni di gas serra, ma con un maggior consumo di prodotti di origine vegetale contribuiremmo tutti a ridurre l’impatto ambientale del cibo che consumiamo". "A tavola c’è posto per tutti: i prodotti plant-based non sono sostitutivi di nessun alimento, ma possono essere certamente un aiuto importante per seguire una dieta variegata, salutare e con effetti benefici anche per il Pianeta”, conclude.