INFORMAZIONIFujitsu Technology Solutions spa Informatica e Software Ruolo: HR Director Finix Area: (responsabile) Human Resource Management Alessandro Magrini |
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(Adnkronos) - Se si osservano da vicino i dati 2020 relativi alla formazione dei dipendenti pubblici del comparto funzioni locali, emergono differenze territoriali più marcate rispetto all’anno precedente. A evidenziarlo il Centro Studi Enti Locali (Csel) che, per Adnkronos, ha elaborato i dati del conto annuale riferiti al 2020, rilasciati dal ministero dell’Economia e delle finanze pochi giorni fa. La forbice si è ampliata notevolmente e vede ai due estremi i dipendenti degli enti territoriali della virtuosa Valle d’Aosta, che hanno trascorso mediamente 3,16 giorni in aula, e quelli calabresi, fermi a quota 0,16. Si tratta di circa 1 ora e 28 minuti in un anno, praticamente l’equivalente della durata di un film. Si collocano al di sopra della media nazionale, insieme alla Valle d’Aosta, altre 7 regioni. Nell’ordine, Lombardia (1,78 giorni), Friuli Venezia Giulia (1,70), Emilia Romagna (1,65), Toscana (1,46), Piemonte (1,44), Liguria (1,14) ed Umbria (1,13). Al di sotto della media nazionale, le restanti regioni e, in particolare, poco più su del caso limite calabrese (0,16), si collocano: Sicilia (0,19 giorni), Basilicata (0,27), Molise (0,41), Provincia autonoma di Bolzano (0,42), Abruzzo (0,46), Campania (0,47), Puglia (0,54), Marche (0,56), Lazio (0,61), Sardegna (0,72) e Provincia autonoma di Trento (0,97). L’analisi dei dati relativi alle ore dedicate nell’arco del 2020 alla formazione da parte dei dipendenti degli enti territoriali italiani fa emergere anche una differenza marcata dal punto di vista del genere. In generale, gli uomini hanno passato la metà del tempo in aula rispetto alle colleghe donne: 0,72 giorni gli uomini contro 1,19 delle donne. Un caso particolarmente eclatante da questo punto di vista è quello del Friuli Venezia Giulia. Le dipendenti degli enti locali hanno passato in aula circa 2 giorni e mezzo contro le 4 ore e mezzo circa dei colleghi uomini. Fanno eccezione, rispetto a questo andamento generalizzato, soltanto Lazio, Bolzano, Trento e Toscana, dove i rapporti sono invece invertiti. Crollo verticale delle ore passate a formarsi da parte dei dipendenti pubblici: tra i molti volti dell’impatto della pandemia, c’è anche questo. I dati del conto annuale riferiti al 2020 hanno fatto emergere come le ore passate in aula, soprattutto dai dipendenti delle amministrazioni centrali e dal personale sanitario, si siano ridotte drasticamente in corrispondenza dell’insorgere dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. Complessivamente, i giorni dedicati alla formazione nell’arco del 2020 da parte degli oltre 3 milioni di dipendenti pubblici italiani sono stati 2,6 milioni, circa 6 ore a testa in un anno. Si tratta del punto più basso mai toccato nell’arco di tempo sul quale sono disponibili gli open data del Mef, che coprono un totale di 13 anni. Considerata la mole di lavoro incredibile che si sono trovati a gestire e i ritmi massacranti imposti dalla gestione dell’emergenza, non sorprende scoprire - osserva Csel - che uno dei comparti nei quali questo calo è stato più marcato sia quello sanitario. È a quest’ambito che sono riconducibili oltre metà del milione e 99.221 giorni di formazione mancanti all’appello nel 2020 rispetto all’anno precedente. "Va detto che il problema dello scarso tempo dedicato a corsi di aggiornamento e formazione da parte dei dipendenti pubblici - avverte Cse - è una questione atavica e trasversale a tutti i rami della Pa, che affonda le radici in una prassi consolidata già ben prima dell’insorgere della pandemia". In questo scenario in generale non roseo, i dipendenti del comparto sanità, nell’ultimo anno pre-emergenza, si erano però collocati sopra la media del settore pubblico in generale, con circa un giorno e mezzo all’anno passato in aula contro una media di circa un giorno. Il Covid ha falcidiato ulteriormente questo ammontare di tempo, già modesto, passato mediamente in aula da parte di medici, infermieri e affini, riducendolo a circa mezza giornata (-60%). L’unico comparto in cui il calo è stato percentualmente ancora più elevato (-62%) è stato quello delle funzioni centrali, che mette insieme gli oltre 225mila dipendenti dei ministeri, delle Agenzie fiscali e degli Enti pubblici non economici come Inps, Inail, Enac o Agid. Non sono state influenzate dal calo generale registrato nella pubblica amministrazione, durante la pandemia, le ore dedicate alla formazione da parte dei dipendenti di Comuni, Province, Regioni e città metropolitane, che hanno, al contrario, fatto registrare un timido aumento del 2% nel 2020. "Un segnale positivo - sottolinea Csel - che è però lontano dal poter destare rallegramento, posto che, nonostante questo leggerissimo incremento, ciò che i dati indicano è che un dipendente di un ente locale passa mediamente 7 ore e 50 minuti all’anno a formarsi. Un dato evidentemente sconfortante che non è sfuggito al governo che, non a caso, si sta mobilitando su più fronti per tentare di invertire la rotta, rafforzando le competenze senza le quali non sarà possibile dare attuazione al Piano nazionale di ripresa e resilienza". Lo scorso gennaio, ad esempio, il ministro per la Pubblica amministrazione, riferisce Csel, ha mandato una mail ad ognuno dei 3,2 milioni di dipendenti pubblici italiani proprio per chiedere una massiccia adesione alle iniziative formative attivate su tutto il territorio nazionale nell’ambito del Piano strategico denominato 'Ri-formare la Pa. Persone qualificate per qualificare il Paese'. Un piano che affonda le radici su più filoni: 'Pa 110 e lode', Syllabus per la formazione digitale e strumenti preesistenti come il programma Inps 'Valore Pa'. La comunicazione si apriva con questo passaggio, riporta Csel: "Gentilissima/o, la Pubblica amministrazione, con i suoi 3,2 milioni di dipendenti, è il perno della ricostruzione del Paese e il Piano nazionale di ripresa e resilienza individua nelle persone, prima ancora che nelle tecnologie, il motore del cambiamento. L’innovazione si produce con le conoscenze e le competenze che già possedete e con quelle, anche tecniche, organizzative e manageriali, che le transizioni amministrativa, digitale ed ecologica richiedono di acquisire. Ciascuno di voi, oggi, può davvero fare la differenza". "L’auspicio è che questi input e queste opportunità vengano accolte con favore e che questo si rifletta in un aumento decisamente più marcato negli anni a venire del tempo investito dalle amministrazioni locali e non nella formazione del proprio organico", conclude Csel.
(Adnkronos) - "Continua il buon andamento del mercato della casa vacanza messosi in moto dopo il primo lockdown e non ancora rallentato. Da sottolineare, al contrario, la crescita della percentuale di acquisto di case vacanza che nel 2019 si attestava al 5,8%, per poi salire al 6,5% del 2020, fino ad arrivare al 6,9% del 2021. Queste percentuali confermano come la pandemia abbia spinto un maggior numero di persone all’acquisto di case vacanza sia al mare, sia al lago, sia in montagna". Lo dice all'Adnkronos/Labitalia Fabiana Megliola, responsabile Ufficio studi Gruppo Tecnocasa. "Questo dinamismo - spiega - si è traslato anche sui prezzi che sono in aumento: al lago (+1,8%), al mare (+1,7%) e in montagna (+2,6%). In generale la domanda, che si è sempre orientata su bilocali e trilocali, dopo il lockdown sta virando sempre di più sulle soluzioni indipendenti le cui compravendite sono in aumento negli ultimi tre anni. La presenza dello spazio esterno è sempre più importante". "Un altro fenomeno riscontrato quest’anno - fa notare - è un ritorno degli stranieri (americani, francesi, tedeschi e polacchi), sempre più interessati all’acquisto di una casa vacanza nel Belpaese, soprattutto al mare e al lago". "Bene - afferma Fabiana Megliola - al mare le località del Veneto e delle Marche e, in generale, i territori lungo la dorsale adriatica comodi da raggiungere tramite la rete ferroviaria e quelli posizionati sul litorale laziale che hanno raccolto l’importante domanda che arriva dal bacino della capitale. La ricerca delle soluzioni indipendenti e il ritorno degli stranieri sta determinando una riscoperta delle zone dell’entroterra, più distanti dal mare". "Il mercato immobiliare turistico lacustre - continua - vede ancora una volta il lago di Garda particolarmente dinamico con prezzi in aumento sia sulla sponda bresciana sia su quella veronese. La novità rispetto all’ultima analisi è la crescente richiesta avanzata dai tedeschi sul lago di Garda che stanno riversando importanti capitali sulla zona". "Tra le località di montagna - sottolinea - vanno bene quelle dell’Abruzzo i cui prezzi sono in aumento del 5,2% e del Veneto in salita del 7,7%". "Il mercato immobiliare residenziale - sottolinea Fabiana Megliola - è vivace, le incertezze in corso non stanno minando, almeno per ora, il desiderio di acquistare casa. Dopo un momento di smarrimento allo scoppio della guerra, la domanda è ripartita e l’inflazione in salita sta portando ad investire proprio sul mattone determinando un ritorno all’investimento che la pandemia aveva rallentato. Le grandi città sono sempre molto attrattive, Milano in testa con Roma che inizia a riprendersi, ma sono diverse le città più piccole che stanno prendendo piede". "Si tratta spesso - spiega - di piccoli centri, a misura d’uomo e con una buona qualità di vita (aree verdi, vicinanza al mare): Livorno, Trieste, Pesaro, Ravenna e Trento sono tra queste". "Le uniche difficoltà - avverte - si stanno riscontrando sul mercato delle nuove costruzioni: l’aumento dei costi delle materie prime e il loro più difficoltoso reperimento stanno determinando una revisione dei piani di sviluppo da parte dei costruttori". "Il 2021 - ricorda - si è chiuso con 749 mila compravendite con una crescita del 34% rispetto al 2020 e del 24% rispetto al 2019 (dati Agenzia delle entrate). I comuni non capoluogo hanno registrato un trend migliore rispetto a quelli capoluogo. Tra le grandi città, Milano chiude con una crescita delle transazioni del 24,4% rispetto al 2020 e +2,6% rispetto al 2019; la Capitale mette a segno un +31,4% e +18,5%. Bene, nel confronto con il 2020 e il 2019, Bari e Genova".
(Adnkronos) - Quando porti a bollore l’acqua della pasta ti ricordi di mettere il coperchio? Se la risposta è sì, hai risparmiato energia sufficiente a ricaricare il tuo smartphone per 2-3 volte. Che diventano 5 e più, se cuoci la pasta con la quantità di acqua 'giusta'. Se tutti gli italiani seguissero questi accorgimenti ogni volta che, in un anno, 'calano' gli spaghetti, allora il risparmio aumenta esponenzialmente: parliamo di almeno 350milioni di chilowattora, sufficienti a illuminare gli stadi di calcio per tutte le prossime 24 stagioni di Serie A, Premier League, Liga spagnola e Bundesliga. Lo rivela uno studio scientifico promosso dai Pastai italiani di Unione Italiana Food e presentato in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente (5 giugno) che, per la prima volta, calcola l’impatto ambientale della cottura della pasta e il risparmio, energetico, di emissioni di CO2 equivalente e di acqua, derivante da tre piccoli accorgimenti alla portata di tutti: tieni il coperchio sulla pentola (quando porti l’acqua ad ebollizione); usa la giusta quantità di acqua (oggi ne serve meno di quella che pensi); spegni il fuoco prima del tempo (la cottura passiva può fare miracoli). Secondo Riccardo Felicetti, presidente del Pastai Italiani, “con un impatto ecologico dal campo alla tavola minimo rispetto ad altri alimenti, meno di un metro quadrato globale a porzione e appena 150 grammi di CO2 equivalente, la pasta è il prototipo dell’alimento green. Ma possiamo fare ancora meglio, con poco, perché dalla fase di cottura della pasta a casa dipende ben il 38% del totale della sua impronta carbonica. Abbiamo scelto di indagare scientificamente la cottura della pasta per trasferire consapevolezza sull’impatto economico e ambientale di gesti che compiamo quotidianamente. Uno sforzo minimo ci aiuterebbe a raggiungere un risultato importante e dall’Italia, depositaria della cultura della pasta al dente, può partire una vera e propria rivoluzione culturale”. La ricerca, commissionata dai Pastai italiani a Perfect Food Consulting, marchio leader in Europa nel campo della consulenza per la sostenibilità nel settore agroalimentare, ha calcolato l’energia necessaria per cuocere 200 grammi di pasta in modo convenzionale (a pentola scoperta e con la proporzione di 1 litro d’acqua ogni 100 g di pasta) e quanto potremmo risparmiare, in energia, emissioni e acqua, con tre semplici accorgimenti alla portata di tutti. Usare il coperchio durante la fase di ebollizione: non solo acceleri i tempi, ma risparmi fino al 6% di energia ed emissioni di CO2e (CO2 equivalente). Cuocere la pasta con 700 ml di acqua invece del classico litro per 100 grammi. Oltre a risparmiare il 30% di acqua, e non è poco, taglieresti il 13% di energia ed emissioni di CO2e. Provare la cottura passiva: dopo i primi 2 minuti di cottura tradizionale, la pasta cuoce in modo indiretto, a fuoco spento e con coperchio per non disperdere calore. Con questo metodo il risparmio di energia e emissioni di CO2e arriva fino al 47%. Con un consumo medio di 23.5 kg pro-capite di pasta, ogni italiano arriverebbe a risparmiare in un anno fino a 44,6 chilowattora, 13,2 chili di CO2e e 69 litri di acqua. E se lo facessimo tutti, i risultati diventerebbero davvero importanti: risparmieremmo tra i 356 milioni e i 2,6 miliardi di chilowattora in un anno (pari a un secolo e mezzo di calcio in notturna in Europa, coppe comprese), 4.100 m³ di acqua, sufficienti a riempire 1640 piscine olimpioniche e fino a 776 chilotonnellate di CO2e, le emissioni di una macchina per 21 viaggi andata-ritorno tra la Terra e il Sole. Per arrivare a questo cambiamento culturale e di abitudini non partiamo da zero: secondo uno studio Unione Italiana Food /Istituto Piepoli, solo 1 italiano su 10 non usa il coperchio per accelerare l’ebollizione dell’acqua. Ma c’è ancora molto da fare. Tre italiani su 4 ancora impiegano almeno 1 litro d’acqua per ogni 100 grammi di pasta, ignorando che oggi per cuocere la pasta ne basta molta meno. Mentre la cottura passiva è ancora distante dalla nostra quotidianità, tanto che 9 italiani su 10 (89%) tengono il fuoco acceso fino a cottura completata. Ma siamo comunque aperti a modificare le nostre abitudini di pasta lovers. Il 68% si dichiara propenso a cambiare le proprie abitudini di cotture per risparmiare risorse ambientali ed economiche. Lo studio scientifico è stato realizzato nel quadro di #PastaDiscovery, il ciclo di approfondimenti ideato dai pastai italiani di Unione Italiana Food e dedicato all’ABC della pasta, in risposta alla “riscoperta” degli italiani di questo alimento. #PastaDiscovery vivrà in più momenti nel corso dell’anno sui canali social di WeLovePasta, community di oltre 30mila pasta lovers, con contenuti multimediali che spaziano dai talk ai consigli pratici, alla storia, scienza e cultura della pasta, alle guide e ai test di assaggio, fino alle interviste e ai contributi video di gastronomi, pastai, food blogger.