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(Adnkronos) - E' ''una fase di escalation di violenza molto forte'' quella che sta vivendo il Mali, tanto che sarà ''complicato aprire canali di negoziato per liberare i nostri connazionali''. Lo spiega ad Adnkronos Edoardo Baldaro, ricercatore presso l’Université Libre di Bruxelles e autore del volume 'Jihad in Africa. Terrorismo e controterrorismo nel Sahel', edito da Il Mulino. E questo perché ''la giunta militare che governa ora il Mali ha adottato un approccio di contro-insorgenza molto violento, con uno schema siriano e l'affidamento ai mercenari russi del gruppo Wagner''. Il che rischia di chiudere il canale negoziale con il Jnim, Gruppo d'appoggio all'Islam e ai musulmani, principale sospettato del rapimento dei tre cittadini italiani oggi al confine con il Burkina Faso. ''Una zona finora considerata non particolarmente pericolosa'', ma ''questo rapimento dimostra come ci sia stata un'ulteriore espansione di questi gruppi jihadisti-salafiti che stanno di fatto circondando Bamako''. ''Il nuovo governo maliano sta rompendo con tutti i partner storici. Con la Francia, con l'Unione europea.. L'Italia è ancora presente e riesce a parlare con il governo maliano, ma la situazione è oggettivamente complicata'', dichiara. ''Nella zona dove sono stati rapiti i nostri connazionali, fino a poco tempo fa non si era a conoscenza della presenza di gruppo jihadisti, attivi invece nel nord e nel centro del Mali'', aggiunge. Una prova di forza del Jnim, quindi, che con la sua leadership locale era ''un gruppo con cui, dal 2019, diversi governi maliani hanno aperto alla possibilità di un negoziato. Perché, al di là della narrazione jihadista, questo gruppo perché ha un'agenda politica locale'' come anche ''i suoi leader sono locali''. Baldaro spiega che ''l'obiettivo del Jnim è l'applicazione della Sharia'', ma nei negoziati ''un'altra possibile soluzione sul tavolo è l'applicazione per il Mali di un nuovo ordinamento costituzionale come quello della Nigeria, dove ci sono diverse regioni autonome che scelgono quale diritto civile applicare''. Quindi per il Jnim ''strangolare Bamako significa forzare per i negoziati, cosa che il governo attuale non intende fare. Oppure dare il via a una operazione stile Talebani, che non hanno preso solo il potere con le armi, ma avviato negoziati per imporre nuovi equilibri politici''. Sul fatto che i nostri connazionali ''fossero in Mali con l'obiettivo di condurre un'opera di evangelizzazione, questo non li ha aiutati a essere ben percepiti da questi gruppi''. Ma, ricorda l'analista, ''i rapimenti sono utilizzati da questi gruppi per accumulare capitale. Diversi Paesi occidentali ancora pagano''.
(Adnkronos) - Cristiano Fini è il nuovo presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani. Imprenditore modenese, di Castelfranco Emilia, 50 anni, è stato nominato oggi dall’VIII Assemblea elettiva, riunita a Roma presso il Teatro Eliseo, e composta da 399 delegati, in rappresentanza dei quasi 900 mila iscritti in tutt’Italia. Fini succede a Dino Scanavino che, appena proclamato, ha voluto ringraziare per il lavoro svolto in questi ultimi 8 anni. Fini, agrotecnico, è il titolare di un’azienda agricola e vitivinicola con 13 ettari investiti a vigneto biologico, già presidente di Cia Emilia-Romagna dal 2018 e, precedentemente, di Cia Modena. Fa parte del Consiglio di amministrazione di Cantine Riunite Civ ed è stato membro della Giunta Camerale di Modena. Ora sarà alla guida della Confederazione per i prossimi quattro anni. "Stiamo attraversando una fase davvero complicata: la pandemia, la guerra, i rincari eccezionali delle materie prime, il rischio di una crisi energetica e alimentare, i cambiamenti climatici. Eppure il nostro settore, con tutte le difficoltà resta uno dei cardini dell’economia nazionale. Il valore aggiunto dell’agricoltura italiana, pari a 33 miliardi circa, resta il più elevato dell’Ue. Il sistema agroalimentare, nel suo insieme fa il 15% del Pil. Ecco perché possiamo e dobbiamo lottare, rimettendo al centro le nostre priorità, le nostre battaglie”. Lo ha detto il neo eletto presidente di Cia-Agricoltori Italiani, Cristiano Fini. “Servono azioni precise e puntuali su larga scala -ha continuato il presidente di Cia- come una politica energetica nazionale ed europea che cerchi di calmierare i costi e le speculazioni, oltre a misure a sostegno delle filiere produttive, messe in ginocchio dagli incredibili rincari produttivi e dall’instabilità dei mercati. Ma soprattutto c’è bisogno finalmente di una redistribuzione del valore lungo la filiera. Dobbiamo gridare la necessità di un reddito equo per gli agricoltori, facendo squadra su questo obiettivo comune, come su investimenti importanti nella ricerca per dotare il settore primario di strumenti innovativi contro il climate change. E poi: spinta alle nuove tecnologie digitali e apertura chiara alle tecniche di miglioramento genetico in ottica sostenibile; invasi per l’accumulo di acqua utile nei periodi più siccitosi, ma anche assicurazioni e fondo mutualistico nazionale per affrontare le calamità”. “Alla vigilia delle grandi campagne -ha sottolineato Fini- resta urgente anche il problema della manodopera nei campi, dal punto di vista sia dei costi che della reperibilità. Così non siamo più competitivi. Occorre più flessibilità, come sperimentato con i voucher. E ancora: accesso alla terra e al credito per il ricambio generazionale; valorizzazione delle donne del settore che sono ormai il 30%; pensioni giuste per chi ha passato tutta la vita nei campi e ora prende poco più di 500 euro”. “Queste sono le nostre priorità -ha evidenziato il nuovo presidente di Cia- insieme al rilancio delle aree interne. Zone svantaggiate che hanno un’importanza strategica per tutto il sistema Paese, ma vengono lasciate sempre sole. Per le zone rurali servono politiche e strategie: defiscalizzazione, connessione, sbloccare lo spopolamento e riportare persone e ricchezza. Sono le nostre rivendicazioni, come quella sulla fauna selvatica, con la riforma della legge 157 per tutelare l’agricoltura, mettere al sicuro strade e cittadini, salvare gli allevamenti suinicoli dal rischio Psa. Tutte sfide che dobbiamo portare avanti tenendo sempre insieme proteste e proposte”. “Ci attende una nuova stagione, più inclusiva e innovativa -ha aggiunto Fini- dentro l’organizzazione e nei rapporti con la società civile e con le istituzioni, con tutte le altre rappresentanze agricole, agroalimentari ed economiche del Paese. Dobbiamo essere per e non contro. Non dobbiamo lasciare indietro nessuno. Servizi alle imprese e al cittadino, grandi imprese e piccole aziende, Nord e Sud, agricoltura biologica e convenzionale, tutto questo non è in opposizione. Le diversità si devono tradurre in un valore aggiunto. Le sfide da affrontare sono di una portata enorme e serve responsabilità e nuova coesione per traguardarle”. “C’è bisogno di un patto con tutte le componenti del sistema, a cominciare dai consumatori -ha ribadito il presidente di Cia- e il miglior veicolo per spiegare quello che facciamo sono gli agriturismi, la vendita diretta, l’agricoltura sociale, le fattorie didattiche. Dobbiamo far capire a tutti che l’agricoltura non è quella che inquina, che tratta male gli animali e sfrutta i lavoratori, ma il settore che custodisce il territorio, che difende l’ambiente e le persone, che fa crescere l’economia e la società. Anche in Europa dobbiamo contare di più, avendo in mente che dove andiamo uniti come sistema Paese, portiamo a casa il risultato”.
(Adnkronos) - In Italia esistono 1200 chilometri di linee ferroviarie soppresse, che potrebbero essere riaperte per potenziare il trasporto locale soprattutto nelle aree interne del paese. Sono le cosiddette "ferrovie sospese", di cui si occupa la seconda edizione del Dossier Futuro Sospeso, realizzato da Alleanza Mobilità Dolce in collaborazione con Legambiente e Kyoto Club, che esamina la situazione di 38 linee che attraversano anche paesaggi di straordinaria bellezza e che potrebbero quindi utilizzate a fini turistici. Rispetto alla classifica delle regioni con più linee soppresse, il Piemonte è sempre in testa con 13 collegamenti, anche se il Consiglio regionale ha avviato una verifica su costi-benefici della loro riapertura. E qualcosa si muove anche a livello nazionale, con l’intesa Stato-Regioni per 26 linee ferroviarie turistiche e la destinazione di investimenti del PNRR sulle ferrovie turistiche e locali.