INFORMAZIONIFederica Panzera |
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(Adnkronos) - E' durato circa un'ora l'incontro a Palazzo Chigi tra il premier Mario Draghi e il leader della Lega, Matteo Salvini. Ha chiesto a Draghi di fermare un terzo invio di armi all'Ucraina? "Ho parlato di cessate il fuoco e di disarmo, dunque questi passano da uno stop di invio di armi, perché parlare di disarmo inviando armi..." dice il leader della Lega rispondendo alle domande dei cronisti lasciando Palazzo Chigi. A chi gli domanda cosa abbia risposto Draghi, "non riporto la parola di altri - risponde con nettezza - diciamo che due mesi e mezzo fa, quando votammo l'invio di tutti i tipi di aiuti all'Ucraina, c'erano certe condizioni, a quasi tre mesi dall'inizio del conflitto e decine di migliaia di morti io sono convinto che ulteriori invii di armi allontanino la pace". A chi gli chiede cosa farà la Lega in caso di voto su un nuovo invio, "arrivano comunicazione - risponde - non sono previsti voti". Con il premier Draghi si è parlato "finalmente di pace, dopo tre mesi di guerra riuscire a parlare concretamente di pace, di cessate il fuoco, di salvare vite e anche posti di lavoro è qualcosa su cui non dormo la notte - dice Salvini - Direi che rispetto ai toni bellicisti che c'erano da quasi tutti fino a pochi giorni fa, il fatto che il presidente Draghi sia andato a Washington a portare parole e progetti di pace, l'idea di un'Europa nuova - Italia, Francia e Germania - che metta al centro la pace e il disarmo e la salvaguardia dei posti di lavoro in patria è qualcosa su cui sto lavorando da più di due mesi e che inizia a vedere i primi frutti". "Abbiamo parlato" di "come arrivare a un cessate il fuoco il prima possibile con un'Italia protagonista - prosegue il segretario della Lega - Lasciamo ad altri venti e toni di guerra e noi facciamo l'Italia perché l'Italia è da sempre potenza di equilibrio, ovviamente alleata delle potenze e democrazie occidentali con equilibrio, prudenza, buonsenso e misura, questo dai tempi di Prodi, Berlusconi, Craxi, Aldo Moro. Quindi che l'Italia sia promotrice di un processo di pace e di cessate il fuoco mi rende orgoglioso". LA NOTA DI PALAZZO CHIGI - Nella nota di Palazzo Chigi si legge che il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha incontrato oggi pomeriggio, a Palazzo Chigi, il segretario della Lega, Matteo Salvini. Il colloquio si è incentrato sulla recente visita negli Stati Uniti, nel corso della quale è stato riaffermato l'impegno dell'Italia per la pace attraverso il sostegno all'Ucraina, l'imposizione di sanzioni alla Russia, la rinnovata richiesta di un cessate il fuoco e dell'avvio di negoziati credibili. Nel corso dell'incontro si è parlato anche delle conseguenze economiche e umanitarie del conflitto in corso, con particolare riferimento alla necessità di prevenire una crisi alimentare sul larga scala e di proseguire lungo la strada dell'accoglienza ai profughi ucraini. Sul fronte dell'energia, è stata condivisa l'importanza di un percorso che affianchi diversificazione delle fonti di approvvigionamento e investimenti sulle rinnovabili, si legge nella nota.
(Adnkronos) - In Italia possiamo ormai parlare di un ‘paradosso giovani’ perché calano numericamente, ma non riescono a trovare lavoro: senza un dialogo strutturale fra scuola e imprese e nuove politiche di accompagnamento nelle fasi di transizione, non si riuscirà a garantire un’offerta di lavoro non precario alle nuove generazioni. E’ quanto emerso durante un dibattito sull’ultimo numero dell’Osservatorio Cida-Adapt dedicato al lavoro giovanile, fra Mario Mantovani, presidente di Cida, la confederazione dei dirigenti pubblici e privati e delle alte professionalità, Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt e lo studente universitario Davide Ravaioli, follower del programma Aurora. “L’Osservatorio trimestrale sul mondo del lavoro - ha spiegato Mantovani - nasce dall’esigenza di una lettura non convenzionale dei dati statistici per avere una visione delle dinamiche occupazionali più aderente alla realtà e fornire ai manager uno strumento utile ai loro processi decisionali e organizzativi". "I dati - ha aggiunto - una volta ‘spacchettati’ e analizzati mostrano, ad esempio, la scarsa affidabilità delle ‘medie’ statistiche, poco adatte a leggere una realtà molto differenziata sul territorio. Nell’Osservatorio, altro esempio, ci si è concentrati sulla fascia d’età 25-34 anni, perché in quella precedente, 15-24 anni, l’incidenza di chi studia è troppo alta per poterne ricavare dati realistici su disoccupazione e precariato". “Ma - ha ribadito - il fattore che ha pesato di più per capacità di interpretare andamento e tendenze del mondo del lavoro è quello demografico. In 10 anni, dal 2010 al 2020, la coorte dei 25-34enni è diminuita di circa un milione di unità. Una tendenza che non sembra arrestarsi e che, comunque, può essere invertita solo in un lungo arco di tempo. Normalmente, meno giovani domandano lavoro, più dovrebbe essere facile trovarlo. E’ qui che troviamo il ‘paradosso’ del lavoro giovanile, visto che il nostro tasso di occupazione in quella fascia d’età è troppo basso nel confronto con i partner europei: insomma i giovani diminuiscono, ma l’attuale mercato del lavoro non riesce ad assorbirli. Lavoro giovanile scarso e anche caratterizzato da un’alta incidenza di contratti a termine che tende a renderlo sostanzialmente precario e poco pagato". “Come Cida - ha spiegato - esortiamo il decisore politico a intervenire su queste basi, su questi dati rappresentativi di una realtà che spesso sfugge ad un’analisi superficiale. I numeri indicano le strade da seguire: riallacciando il dialogo fra scuola e lavoro, gestendo le fasi di transizione, investendo sulla formazione continua che deve accompagnare tutto l’arco della vita lavorativa". "Come manager - ha chiarito - siamo consapevoli di quanto sia importante la qualità del lavoro che va perseguita investendo sulle risorse umane e che va adeguatamente retribuita. Anche quello delle retribuzioni, infatti, è un tema che va messo al centro di quel ‘patto sociale’ proposto dal Governo: l’Italia non può essere un Paese ‘low cost’ con lavoro poco qualificato, sostanzialmente privo di formazione, distante dal mondo dell’università e della ricerca e poco retribuito. Così ci avvitiamo verso il basso, perdendo potere d’acquisto e impoverendo il Paese".
(Adnkronos) - di Stefania Marignetti Il biologico ucraino bloccato nei magazzini dove resta invenduto, le esportazioni ferme, un mercato che rischia di saltare completamente, con forti ripercussioni anche sull'Italia che negli anni ha sopperito a una produzione nazionale in costante calo, come quella del mais biologico, attraverso le importazioni, in particolare proprio dall'Ucraina. E' lo scenario che si è aperto con la guerra in corso, "una tempesta perfetta", come la definisce Aldo Cervi, coordinatore della sezione soci e servizi di FederBio. "La situazione che si sta verificando, ad esempio con il mais assolutamente carente in Italia e di cui abbiamo bisogno, viene da lontano. La crisi ucraina ha accentuato questa situazione - spiega Cervi all'AdnKronos - Quello che succede oggi è che abbiamo il mais ucraino bloccato in Ucraina, i contratti sono stati in parte cancellati appellandosi alla causa di forza maggiore perché i produttori ucraini non riescono a farlo uscire dal Paese, il mercato è completamente saltato a fronte di produzioni italiane che hanno vissuto negli anni un costante calo. Una tempesta perfetta che evidenzia criticità precedenti". La produzione biologica ucraina si concentra su seminativi, colture estensive in particolare di frumento, girasole, mais, soia, colza e pisello proteico, colture importanti per l'Italia (soprattutto per il settore dell'allevamento biologico) che importa in particolare mais, soia e girasole. Secondo i dati Sinab, nel 2019 l'Italia ha importato 4.200 tonnellate di mais biologico, di cui 3.000 di origine ucraina; 6mila tonnellate di soia di cui circa 3mila di provenienza ucraina, quindi la metà; 3500 tonnellate di semi di girasole biologici, di cui 2.200 ucraini. Numeri che da soli danno le dimensioni del problema con uno stop delle esportazioni ucraine. E importiamo anche dalla Russia quindi il rischio è quello di un doppio impatto", aggiunge Cervi. "La crisi che stiamo vedendo con le difficoltà di approvvigionamento - spiega Cervi - non è legata alla carenza di prodotto, anche perché in questo momento si sta vendendo il prodotto della campagna agraria dell'anno scorso e sulla base delle informazioni che ho raccolto una buona parte delle semine appena concluse in questi giorni sono state effettuate, pur con difficoltà (si stima che circa un 30% della superficie agricola utilizzata in biologico in Ucraina abbia una accessibilità limitata a causa del conflitto in corso). Il problema è principalmente logistico, legato all'esportazione del prodotto". I principali canali di esportazione prevedono infatti il passaggio e lo stoccaggio del prodotto nei porti e uno spostamento via nave, ma i porti ucraini sono oggi tutti pressoché bloccati. I camion "sono quasi introvabili e con prezzi più che raddoppiati rispetto a febbraio, comunque non adeguati al trasporto di grandi quantità, senza contare che prima di febbraio erano operative nel settore diverse società di trasporto russe e bielorusse - aggiunge l'esperto di FederBio - Si sta cercando di organizzare il trasporto via treno, ma qui si devono rimappare tutti i canali logistici". I produttori ucraini però non sembrano voler gettare la spugna. "Nessun produttore risulta essersi fermato o aver manifestato l'intenzione di uscire dal biologico anche se un 15% si è dichiarato in procinto di fermare l'attività per motivi legati a problematiche quali carenza di carburante o di accesso a risorse finanziarie, e un 32% ha dichiarato un'operatività ridotta rispetto alle normali attività". Di cosa hanno bisogno? "Il 70% ha manifestato la necessità di un sostegno finanziario, poi chiedono sostegno all'esportazione e per la promozione del mercato interno nazionale". Negli ultimi 5-6 anni il settore biologico ucraino si è confermato molto dinamico, vivace e in crescita. La superficie agricola biologica ucraina è passata dai circa 300mila ettari del 2018 ai 460mila nel 2022, un aumento in tre anni del 50%. Se l'Italia ha una superficie agricola nazionale utilizzata in biologico pari al 16% del totale, l'Ucraina viaggia attorno all'1% ma con questa crescita ha sicuramente delle grandissime potenzialità. Ad oggi sono circa 650 gli operatori certificati stimati (erano circa 500 nel 2018), di cui 400 aziende agricole e circa 200 tra trasformatori, esportatori e stoccatori di prodotto e per la restante parte piccole realtà, dagli apicoltori alla raccolta spontanea. "Seicentocinquanta può sembrare un numero ridotto rispetto agli 80mila italiani ma le aziende del biologico ucraino hanno una dimensione diversa dalle nostre: sono aziende di grandi e medie dimensioni, da diverse centinaia ad alcune migliaia di ettari di superficie agricola utilizzata, mentre in Italia la media delle aziende agricole biologiche è di 28 ettari", spiega Cervi. Un biologico, quello ucraino, soprattutto concentrato sull'esportazione. Nel 2020, l'export bio del Paese è stato calcolato in circa 300mila tonnellate, 200mila delle quali verso l'Europa.