(Adnkronos) - "Rischio molto". Patrick Zaki, l'attivista egiziano studente dell'Università di Bologna, in collegamento video al Wired Next Fest in corso nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze, parla così del suo processo. "Mi sono trovato in tribunale per aver scritto un articolo sulla situazione della minoranza cristiana copta" in Egitto e "perché ho parlato della minoranza religiosa. Adesso rischio molto, perché la mia è una questione di libertà di parola", ha affermato. Zaki, di ritorno in Egitto da Bologna per le vacanze di Natale, venne arrestato appena sceso dall'aereo ed è stato rilasciato lo scorso mese di dicembre dopo 22 mesi in carcere. "Sto bene", ha assicurato lo studente egiziano che il 21 giugno comparirà in tribunale per il processo. Rivolgendosi ai tanti giovani presenti nel Salone dei Cinquecento, ha aggiunto: "Siete stai al mio fianco, ho sentito la vicinanza della grande famiglia italiana. Sono veramente fortunato per aver studiato a Bologna, e ho sentito da subito il supporto dell'Italia, un supporto arrivato grazie ai social media. Dovete far sentire le vostre voci, bisogna fare ancora di più. Ci sono ancora tante persone detenute, e dobbiamo parlare anche di loro". "La libertà di parola è una delle pietre miliari della democrazia", ha sottolineato ricordando: "Nel mio caso è stato detto che sono un terrorista perché condivido le mie opinioni. Penso che tutto debba essere pubblicato in condizioni normali, tutti devono poter avere la possibilità di scrivere tutto ciò che pensano". Parlando poi della guerra in Ucraina, Zaki ha detto: "I social svolgono un ruolo importante: sappiamo tanti dettagli dal primo giorno, sappiamo cosa sta accadendo. In alcuni casi è stato fondamentale accedere alle notizie tramite social media: ci sono tante violazioni dei diritti dell'uomo, in particolare la situazione dei cittadini arabi e dei rifugiati che lasciavano le città dell'Ucraina è stata segnalata grazie ai social media, ed è una questione che mi tocca da vicino".
(Adnkronos) - Dall'inizio della guerra in Ucraina, Greenpeace è scesa in campo, anzi in mare. Una lotta di Davide contro Golia che vede gli attivisti, sulle loro piccole imbarcazioni, andare a intercettare le grandi petroliere russe nei mari di Danimarca, Svezia, Regno Unito, Belgio, Olanda, ma anche in Italia di fronte a Siracusa e Trieste. L'obiettivo delle azioni di protesta è sempre questo: il petrolio russo non deve sbarcare. Azioni di protesta che voglio anche "denunciare l'atteggiamento ipocrita dell'Unione Europea" perché con il petrolio venduto all'Ue, Regno Unito compreso, "la Russia sta guadagnando circa 200 milioni di euro al giorno, secondo i nostri calcoli", dice all'AdnKronos Alessandro Giannì, direttore Campagne di Greenpeace. L'associazione ambientalista monitora e intercetta le petroliere russe con i loro carichi da decine e decine di milioni di euro. Per farlo, ha messo a punto un sistema su twitter, "il Tanker Tracker - spiega Giannì - che si basa su dati pubblici liberamente disponibili anche dal sito Marine Traffic, dati di un sistema di segnalazione di posizionamento delle grandi navi (Automatic Electrification System) che serve per identificare una nave che poi fornisce la sua rotta, insomma è una misura di sicurezza. Ovviamente le navi possono sempre cambiare rotta e destinazione ma il sistema ha funzionato più di una volta". " L'embargo al petrolio russo non è ancora iniziato, ma la situazione è curiosa: c'è stata sì una contrazione dell'import in Europa che si attesta attorno a un milione di tonnellate al giorno, ma nel frattempo in Italia le importazioni sono raddoppiate. Oggi importiamo 450mila tonnellate al giorno, soprattutto a Siracusa dove c'è una raffineria riconducibile alla Lukoil che al momento lavora solo petrolio russo, e a Trieste, da dove parte un oleodotto verso la Germania dove si trovano raffinerie controllate da Gazprom. L'Italia si mostra ancora un porta importante per queste importazioni". "La proposta dell'embargo al petrolio russo, oltre a essere lenta, è soprattutto curiosa perché di fatto dice che dobbiamo andare a cercare questo petrolio da qualche altra parte - spiega il direttore Campagne di Greenpeace - E' come avere un figlio tossicodipendente a cui improvvisamente viene meno il pusher e quello che faccio è andare a cercare un altro pusher invece di disintossicarlo". Invece, secondo Greenpeace, l'Ue potrebbe ridurre la propria dipendenza dal petrolio russo intervenendo sul settore dei trasporti, che per il 70% dipendono dal petrolio russo assorbendo i due terzi del greggio che arriva in Europa. Con soli 5 interventi questa domanda si potrebbe ridurre: vietare i voli a corto raggio, ridurre i limiti di velocità, costi ragionevoli per il trasporto pubblico e più smart working. Solo con queste semplici azioni si potrebbe ridurre la domanda di petrolio del 7%, considerando che il 25% del petrolio che si consuma in Ue viene dalla Russia. Il fatto che l'Ue non ci pensi nemmeno non ci sembra andare nella direzione corretta, oltre al fatto che così diamo il tempo ai russi di trovare altri acquirenti per il proprio petrolio". "Situazione molto grave per gli attivisti in Russia, anche di altre associazioni" "In Russia c'è un ufficio di Greenpeace che, ovviamente, è in grande difficoltà - dice Giannì - Ed è in difficoltà non solo Greenpeace: bisogna rendere merito a tante altre organizzazioni che sin dalla prima settimana dello scoppio del conflitto hanno preso una posizione molto netta contro la guerra. La situazione è molto grave. Noi, anche per motivi di sicurezza, manteniamo al minimo le comunicazione con i nostri colleghi però è chiaro che è una situazione terrificante nella quale non pensavamo davvero di ritrovarci ancora. Il clima di guerra riduce sempre gli spazi di democrazia. In Ucraina non c'è un ufficio di Greenpeace ma operiamo con numerose associazioni sul posto ed è un legame che continuiamo a tenere vivo soprattutto dal versante dei Paesi Est europei. Greenpeace, per quello che può, continua a sostenere l'impegno di chi offre rifugio e assistenza alle troppe persone che fuggono da questo conflitto insensato". di Stefania Marignetti