INFORMAZIONIFabio Regazzoni |
INFORMAZIONIFabio Regazzoni |
(Adnkronos) - Tradizione, multidisciplinarità e innovazione. Prende il via oggi il Corso di Politica Agraria nell’ambito del LXII Master Avanzato in Economia e Politica Agraria del Dipartimento di Agraria dell’Università di Napoli Federico II nella sua sede storica, la Reggia di Portici. Il Master, ideato negli anni Sessanta dal Prof. Manlio Rossi-Doria, attraverso la sua natura multidisciplinare e forte di una tradizione culturale e scientifica riconosciuta in Italia e all'estero ha formato negli anni ricercatori e dirigenti. La Reggia di Portici rappresenta ancora oggi un vanto per l'Università degli Studi di Napoli Federico II, non solo per la sua bellezza architettonica, ma anche per gli ampi spazi del parco e delle strutture, che forniscono non soltanto una logistica adeguata alle esigenze di formazione e ricerca ma anche un ambiente culturale molto denso e vivace sia per gli studenti sia per i ricercatori che lo frequentano. Inoltre, il Dipartimento di Agraria rappresenta un’eccellenza nel panorama della ricerca e della didattica sia a livello nazionale che internazionale. L’evento, che si inserisce all’interno dell’Eu AgriFood Week, ha visto la partecipazione dell’Ambasciatore Antonio Parenti, capo della Rappresentanza della Commissione europea, del Direttore del Dipartimento di Agraria Prof. Danilo Ercolini, del Presidente della Scuola di Agraria e Medicina Veterinaria Prof. Giuseppe Cringoli, Prof. Albino Maggio, coordinatore del dottorato in Sustainable agricultural and forestry systems and food security, Sara Roversi, presidente del Future Food Institute e Teresa del Giudice, presidente dell’Associazione Scientifica Centro di Portici e Professore di economia ed estimo rurale presso Università Federico II. In collegamento è intervenuto anche Maurizio Martina, vice Direttore Generale della Fao. Durante l’occasione è stata presentata la Summer school, la scuola di formazione organizzata dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, dal Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II, Future Food Institute e Regione Campania. L’obiettivo del corso, che si svolgerà al Paidea Campus di Pollica dall’11 luglio, è quello di approfondire le problematiche del settore agroalimentare e gli aspetti legati ai Policy Mix di intervento pubblico. “La Commissione europea ha lavorato e ha voluto fortemente questa settimana sull’Agrifood perché si tratta di un’area di un settore che sta assumendo un’importanza sempre maggiore purtroppo recentemente per le ragioni sbagliate, relative alla guerra in Ucraina, ma prima per ragioni molto più corrette e di lungo periodo, legate al concetto del one health, un sistema olistico di salute che deve naturalmente e necessariamente partire dal modo in cui si mangia, dal modo in cui i prodotti agricoli vengono prodotti – ha dichiarato l’Ambasciatore Antonio Parenti -. Si tratta di politiche che oggi vedono un forte interesse da parte della Commissione europea che ha lanciato strategie fondamentali, la Farm to fork, la biodiversità, e naturalmente anche una revisione della Pac. Si tratta di politiche che hanno però bisogno di persone formate coerentemente con questi obiettivi in testa. In questo contesto nasce la necessità e la volontà di venire oggi all’inaugurazione del Master avanzato in Economia e Politica Agraria all’Università Federico II per incontrare gli studenti che di queste politiche un domani dovranno essere i fautori sul territorio e anche i critici delle attività svolte e della loro implementazione sul terreno”. “La guerra in corso fa scoprire all’opinione pubblica l’importanza dei temi legati alla sicurezza alimentare globale – ha dichiarato Maurizio Martina, vice segretario Fao intervenuto con un video messaggio -. Grazie all’Università Federico II, al Future Food Institute alla Commissione europea per il lavoro che stanno svolgendo: serve formare figure professionali capaci di pensare strumenti in grado di dare risposte concrete, sviluppare consapevolezza sulla centralità di questi temi e costruire sinergie per affrontare le sfide che abbiamo di fronte quando parliamo di diritto al cibo, innovazione e tecnologia applicata all’agricoltura, valorizzazione delle catene del valore delle filiere”. “Ringraziamo l’Ambasciatore Parenti per essere venuto all’inaugurazione. Il nostro obiettivo sia con il Master sia con la Summer schoool e con i nostri corsi è formare ricercatori e professionisti che sappiano essere europei e che riescano ad essere un valido sostegno per le istituzioni pubbliche nazionali ed internazionali che hanno davanti sfide globali e complesse di lungo periodo”, ha dichiarato Teresa del Giudice, presidente dell’Associazione Scientifica Centro di Portici. “Si consolida una relazione strategica per l’ecosistema Future Food, per quello delle Comunità emblematiche Unesco della Dieta Mediterranea e per il sistema italiano dell’innovazione in agricoltura – aggiunge Sara Roversi, Presidente del Future Food Institute -. Siamo orgogliosi di avviare con la Facoltà di agraria dell’Università Federico II progettualità concrete che ci porteranno a collaborare su progetti sperimentali e programmi di alta formazione l’11 luglio presso il Paideia Campus a Pollica”. “I nostri progetti con le Istituzioni Europee e con Food Future Institute comprendono una visione ampia che coinvolge sia la ricerca che la formazione. L’occasione offerta dal Centro Nazionale Agritech permetterà l’implementazione non solo di notevoli avanzamenti nella conoscenza ma anche la realizzazione di approcci innovativi nel costruire reti fra diversi attori per assicurare la formazione di tecnici adeguati alle sfide che attendono l’agroalimentare nel prossimo futuro” ha dichiarato Danilo Ercolini, Direttore del Dipartimento di Agraria.
(Adnkronos) - "L’Inps, con cui è stata avviata una proficua interlocuzione sul tema, ha dovuto procedere alla notifica di migliaia di ordinanze e ingiunzioni (e in quanto tali immediatamente esecutive), in applicazione dei contenuti dell’art. 3, comma 6, del D. Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8. Tale norma prevede che una qualunque violazione in materia di versamento delle ritenute per un ammontare al di sotto dei 10.000 euro (quindi, ad esempio e per paradosso, 20 euro) esponga il datore di lavoro al pagamento di una sanzione tra 10.000 e 50.000 euro. L’istituto stesso ha determinato come sanzione minima, con circolare 5 luglio 2016, n. 121, l’importo di euro 16.666 euro (ossia alla terza parte del massimo della sanzione prevista di 50.000 euro)". E' l'allarme che lanciano i consulenti del lavoro in una lettera che la presidente del Consiglio nazionale dell'ordine, Marina Calderone, ha inviato al ministro del Lavoro, Andrea Orlando, sottolineando che si tratta di "una criticità diffusa, tale da mettere a repentaglio, negli ultimi giorni, la prosecuzione dell’attività aziendale in tante imprese italiane", come si legge nella lettera che Adnkronos/Labitalia ha potuto visionare. "Nel periodo di massima recrudescenza della pandemia, le micro e piccole imprese italiane -sottolinea Calderone- si sono trovate nella situazione di dover ottemperare agli obblighi contributivi in un contesto caratterizzato dalla repentina modificazione della normativa di riferimento, aggravata dalla necessità di attendere – in taluni casi per intere settimane – le disposizioni applicative e le circolari dell’Istituto". "La confusione generata ha portato -continua la presidente del Cno dei consulenti del lavoro- moltissimi datori di lavoro a commettere, inconsapevolmente, errori materiali concernenti il conteggio ed il versamento delle trattenute, il più delle volte relativamente a somme risibili o comunque non superiori a 5.000 euro annui. È dunque palese l’assoluta sproporzione tra l’importo della violazione e la sanzione irrogata". "Per porre rimedio a questa difficile e critica situazione in cui versano migliaia di imprenditori italiani, chiedo il suo intervento -spiega ancora Calderone a Orlando- con una tempestiva proposta emendativa, che sottopongo alla sua attenzione, con l’auspicio che possa trasformarsi in una norma quanto prima operativa". "La proposta emendativa fisserebbe, nell’ambito della generale disciplina sanzionatoria vigente, un ulteriore scaglione (1 – 5.000 euro), nell’ambito del quale la massima sanzione amministrativa erogabile verrebbe fissata al triplo delle somme dovute, onde evitare paradossi applicativi della norma che – per come vigente – espone il datore di lavoro ad una sanzione economicamente insostenibile (da 10.000 a 50.000 euro) a causa di un omesso versamento anche di poche decine di euro", conclude Calderone.
(Adnkronos) - L’assenza sul territorio nazionale di un’adeguata rete di impianti di trattamento costringe il nostro Paese ad esportare ogni anno ingenti quantitativi di rifiuti provenienti da attività industriali che all’estero vengono trasformati in nuove materie prime e in energia. Un gap che costa al Paese circa 1 miliardo di euro l’anno. La denuncia emerge dal Report 'Ambiente, Energia, Lavoro – La centralità dei rifiuti da attività economiche', presentato da Assoambiente (Associazione imprese servizi ambientali ed economia circolare). Nel 2019 (ultimi dati disponibili per i rifiuti speciali) la produzione di rifiuti in Italia ha superato quota 193 milioni di tonnellate, di questi ben 163 mln sono speciali (cioè provenienti da attività industriali) e circa 30 mln sono urbani. I primi rappresentano quasi l’85% della produzione complessiva di rifiuti, oltre 5 volte gli urbani, un dato che conferma la rilevanza strategica, anche in termini economici oltre che ambientali, di un loro adeguato trattamento in Italia. Il Report prende in considerazione proprio questi rifiuti, escludendo quelli del comparto costruzioni e demolizioni, mentre i rifiuti speciali derivanti dal trattamento degli urbani, quando possibile, sono stati posti in evidenza e distinti dai restanti volumi di rifiuti di matrice industriale. I rifiuti speciali, al netto di quelli derivanti dal comparto costruzioni, nel 2019 hanno registrato una produzione pari a quasi 111 mln di tonnellate. Partendo da questo dato, il Report si focalizza in particolar modo sui rifiuti direttamente prodotti dalle 'attività economiche', circa 65 milioni di tonnellate: di questi, oltre 36 mln di tonnellate (pari al 55%) sono stati prodotti dalle aziende manifatturiere. Analizzando i dati di produzione a livello regionale, emerge come i volumi si siano concentrati principalmente nelle regioni del Nord Italia, per l’elevato numero di realtà produttive presenti, per il numero di abitanti e per la relativa dotazione impiantistica dedicata alla gestione degli scarti prodotti. In questa speciale graduatoria di 'maggiori produttori' in testa è la Lombardia (con 23 mln di tonnellate di rifiuti speciali prodotti), seguita da Veneto (12), Puglia (11), Emilia-Romagna (10), Piemonte (7), Toscana (7) e Lazio (7). Oltre che nella gestione dei rifiuti urbani, l’Italia è leader anche nel riciclo e recupero di rifiuti speciali. Nel 2019 il 65% delle oltre 109 mln di tonnellate di rifiuti speciali gestiti è stato avviato a recupero (di materia e di energia) ed il restante 35% ad operazioni di smaltimento (incenerimento, discarica, stoccaggio finalizzato allo smaltimento finale o altre operazioni come il trattamento chimico-fisico). Oltre 15 milioni di rifiuti speciali vengono ancora destinati alla discarica, soprattutto al Centro e al Sud, mentre quasi 7 milioni di rifiuti hanno come destino gli impianti di incenerimento o recupero energetico. Di questi quasi 1 mln di tonnellate è destinato a incenerimento, il restante è gestito anche con impianti quali cementifici, impianti privati di incenerimento di scarti produttivi e di processo industriali (es. legno), 'torce' per la produzione di energia elettrica con biogas da discarica o da impianti di compostaggio. Sul territorio nazionale esistono 11.200 impianti di trattamento dei rifiuti speciali, con forte disomogeneità fra le diverse aree del Paese, a prescindere dai dati di produzione: ad esempio la Puglia con circa 11 mln di tonnellate di rifiuti speciali prodotti, dispone di 612 impianti, mentre il Veneto, a fronte di un dato di produzione di quasi 12 mln di tonnellate di rifiuti speciali, dispone di 1.190 impianti. Rispetto al totale degli oltre 11mila impianti, circa il 58% è concentrato nel Nord Italia, il 17% al Centro e il 25% al Sud e Isole. Circa 27 mln di tonnellate (24% del totale) di rifiuti speciali sono state trattate in un territorio diverso dalla Regione di produzione. Nel 2019 sono state conferite all’estero oltre 4 mln di tonnellate di rifiuti speciali prodotti in Italia, destinate nel 50% dei casi verso paesi vicini come Germania, Austria, Francia, Svizzera e Slovenia. Secondo le analisi formulate da Assoambiente, già oggi si evidenzia un fabbisogno impiantistico superiore a 10 milioni di tonnellate di rifiuti/anno e un fabbisogno cumulato nei cinque anni (2021-2025) pari a circa 34 milioni di tonnellate.