(Adnkronos) - Le mafie si adeguano ai cambiamenti della società e con i social hanno cambiato il loro modo di comunicare. Non si nascondono più, ostentano. La camorra si esibisce su Tik Tok, le mafie foggiane la imitano, i Casamonica di Roma cantano musica neomelodica, la 'Ndrangheta è silenziosa in Calabria, ma sbatte sui social i soldi che fa a Milano. È propaganda. È costruzione del consenso. Di questo si è parlato nella due giorni organizzata da Fondazione Magna Grecia e ViaCondotti21 con il Gruppo Pubbliemme, Diemmecom, LaC Network e l’Università LUISS. Alcuni tra i maggiori esperti di criminalità organizzata sono intervenuti al corso della Scuola di Alta Formazione Magna Grecia “Le mafie ai tempi dei social” e hanno dialogato con il direttore editoriale di LaC Network Alessandro Russo e con Paola Bottero, direttore strategico del Gruppo Pubbliemme\Diemmecom e del network. Ha partecipato il Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, obiettivo numero 1 della ‘ndrangheta sotto scorta da più di 30 anni. "Le mafie oggi sono mimetizzate nel tessuto sociale ed economico - ha detto Gratteri - ma la mafia non esisterebbe se non avesse l'appoggio delle classi dirigenti, sarebbe criminalità comune. Invece le mafie hanno bisogno del territorio e del consenso popolare. Oggi un boss è un imprenditore e come tale ha il suo marketing, ha bisogno di pubblicità. È così che la 'Ndrangheta comanda in Calabria e oggi si è presa un quarto di Milano". "Gli affari della ‘Ndrangheta sono al Nord - ha detto lo scrittore ed ex Questore Piernicola Silvis - Oggi le seconde e terze generazioni delle famiglie della ‘Ndrangheta calabrese sono manager che hanno studiato alla Bocconi. Chi dice che le mafie non esistono più perché non ammazzano nessuno non capisce che così sono anche più pericolose. Non ammazzano perché non ne hanno neanche bisogno". E non hanno bisogno di omicidi eccellenti nemmeno per accreditarsi all’estero, ha detto il professore della Queen's University Antonio Nicaso, scrittore e storico delle mafie: "Alle organizzazioni criminali basta cercare una famiglia su Google per sapere cosa ha fatto. La violenza si usa solo in caso di necessità, i metodi per controllare il territorio in Italia sono altri. Senza il concorso esterno di apparati dello Stato non c’è mafia. Pensiamo ai Narcos, hanno canali YouTube dove pubblicano anche le decapitazioni degli oppositori. Frenano sul nascere i tentativi delle forze dell’ordine di contrastarli, perché è chiara la loro superiorità militare". È il lato oscuro della globalizzazione, come ha detto la professoressa dell’Università di Bath Felia Allum, la criminalità che si evolve con il digitale. Sono i racconti di mafia che ormai non sono più inscindibilmente legati alla Sicilia, come ha spiegato il critico cinematografico Emiliano Morreale. "Le mafie sono un brand e i social sono il loro nuovo strumento di propaganda - ha spiegato Marcello Ravveduto, professore dell’Università di Salerno - Nessun intermediario, solo autonarrazione. Twitter è la loro agenzia di stampa, Instagram il loro magazine, Facebook è la loro TV generalista e TikTok il loro reality show. I rampolli dei boss sono gli influencer della mafia e hanno una loro colonna sonora, la musica trap". "Dobbiamo combattere le rappresentazioni affascinanti e suadenti delle mafie, la mitizzazione che trasforma i mafiosi in leggende", ha detto Manuela Bertone, docente dell’Universitè Côte d’Azur di Nizza. "I mafiosi sono da sempre interessati alla narrazione - ha detto Salvo Palazzolo di Repubblica - Non è un caso che il primo delitto eccellente a Palermo sia stato quello di un giornalista. È l’unica antimafia che dà fastidio ai boss. Quella che sta sul territorio». La rappresentazione del camorrista che cerca di farsi accettare dalla popolazione tenendo nascoste le attività criminali è finita, ha spiegato Luigi Sabino, giornalista del Mattino che ha svelato il nuovo linguaggio in codice della Camorra sui social. "La ricchezza deve essere ostentata e il canale preferito dei giovani camorristi è Tik Tok, dove spopolano i video commemorativi per i morti ammazzati. La Camorra ovvia così al divieto dei funerali pubblici. I funerali dei boss si fanno su Tik Tok". Così come è tramontata la convinzione che le mafie non avrebbero mai attecchito nel colto Nord, ha spiegato Cesare Giuzzi del Corriere: "Per gli imprenditori del Nord la ‘ndrangheta è un brand affidabile con cui fare affari. Non ha più bisogno neanche di fare paura, molti funzionari pubblici si sono fatti corrompere con una escort". Il Presidente dell’Organismo di Vigilanza della Fondazione Magna Grecia Antonello Colosimo, già vice Alto Commissario Vicario per la lotta alla contraffazione, ha parlato di come i reati di contraffazione si siano trasferiti sui social: "Nel 2020 il giro d’affari della contraffazione in Italia ha sforato i 6 miliardi e il 70% del mercato è su WhatsApp e WeChat. Lì c'è il primo contatto, poi si paga in bitcoin. Molti non sanno che la quota maggiore sulle vendite va ad associazioni terroristiche come Al Qaeda". Alla discussione hanno partecipato il Generale Pasquale Angelosanto, Comandante dei Carabinieri del ROS, che ha raccontato di esponenti del clan degli Scissionisti di Secondigliano catturati grazie alle loro attività su Facebook; il Comandante SCICO della Guardia di Finanza Alessandro Barbera, che ha detto che le mafie si sono mimetizzate, sono silenti e opache ma affatto sparite ("Ci sono. E noi lo dobbiamo gridare forte") e il Prefetto Francesco Messina, Direttore Anticrimine della Polizia di Stato: "Bisogna attaccare i patrimoni. Se togli i soldi alle mafie non pagano più avvocati né stipendi. Così muoiono". Ha chiuso l’evento Nino Foti, Presidente della fondazione Magna Grecia: "Bisogna ricostruire un nuovo civismo, nessun governo ha investito sull'educazione a essere cittadini. Il PNRR ha portato in Italia fiumi di denaro, che però non arriva sui territori. La società civile è divisa, non è organizzata, al contrario della criminalità che così prende il sopravvento. Per sconfiggere le mafie dobbiamo unire il controllo del territorio con la formazione. Facciamo ancora il tempo, questa è la missione della Fondazione Magna Grecia".
(Adnkronos) - La situazione del Paese sul piano economico e occupazionale, a causa della lunga crisi innescata dalla pandemia alla quale si è aggiunta ora il fattore estremamente problematico dei rincari generalizzati, richiede strategie continuativamente mutevoli e connesse alle istanze delle imprese. Formazienda, il fondo interprofessionale istituito da Sistema Impresa e Confsal con 100mila aziende aderenti di ogni settore e scala dimensionale, ha stanziato nell’ultimo biennio 51 milioni di euro ai fini dello sviluppo e della diffusione della formazione continua cercando, ogni volta, di intercettare le urgenze imprenditoriali con lo scopo di fornire risposte idonee e tempestive. "Quando la pandemia ha paralizzato il mondo economico giungendo alla chiusura delle attività - commenta il direttore generale di Formazienda, Rossella Spada - molte aziende non hanno interrotto la formazione delle risorse umane beneficiando dei finanziamenti messi a disposizione. La formazione in modalità da remoto ha avuto un’importanza vitale perché non ha arrestato il processo di trasmissione delle conoscenze in un periodo, peraltro, nel quale la flessione dei mercati ha consentito di riflettere a fondo sull’organizzazione aziendale individuando eventuali debolezze o punti nodali che richiedevano approcci innovativi". All’inizio della crisi pandemica e nel periodo precedente sono stati soprattutto i temi della digitalizzazione, del rinnovamento tecnologico e dell’internazionalizzazione ad interessare in una modalità trasversale le aziende. Poi, con l’emergenza epidemiologica, ha ripreso forza la tematica della sicurezza necessariamente aggiornata per fronteggiare il pericolo dei contagi all’interno dei luoghi di lavoro. Una necessità che ha spinto Formazienda a sostenere il progetto ‘Prospettiva lavoro’ elaborato dalle parti sociali. Sicurezza e innovazione, quest’ultima incentivata dal varo del Fondo Nuove Competenze, hanno rappresentato due temi portanti in relazione alle iniziative nel campo della formazione continua. Superata la fase più acuta l’analisi dei mercati post-Covid ha evidenziato la situazione drammatica del lavoro femminile e dei giovani. "Siamo intervenuti con avvisi di finanziamento specifici per qualificare e riqualificare al meglio la forza lavoro femminile inserendo premialità per le situazioni di maggiore difficoltà sul piano sociale e dell’inclusione", spiega il direttore Spada. L’Avviso 2/2021, emanato alla luce di questa priorità, aveva previsto uno stanziamento di 10 milioni di euro. Insieme alle donne anche i giovani e gli inoccupati sono stati interessati da misure puntuali di sostegno ai fini di una stabilizzazione lavorativa. L’avviso a catalogo del 2022 è invece da interpretare come una risposta davanti alla diffusa esigenza manifestata da Pmi, grandi aziende e gruppi più strutturati con lo scopo di soddisfare in tempi rapidi e con estrema flessibilità il proprio fabbisogno formativo. "La cooperazione con le strutture formative accreditate presso il fondo - conclude Rossella Spada - ha permesso di proporre alle aziende una serie di percorsi già predisporti e immediatamente accessibili così da reagire rapidamente alle sollecitazioni del mercato potenziando funzioni o integrando nuove competenze. La crisi muta in continuazione e la formazione deve essere pronta a reagire spingendo i fondi interprofessionali ad elaborare misure di intervento efficaci". Il fondo, nato nel 2008, finora ha direzionato risorse per 200 milioni di euro formando 500mila persone in ogni settore economico.
(Adnkronos) - Dall'inizio della guerra in Ucraina, Greenpeace è scesa in campo, anzi in mare. Una lotta di Davide contro Golia che vede gli attivisti, sulle loro piccole imbarcazioni, andare a intercettare le grandi petroliere russe nei mari di Danimarca, Svezia, Regno Unito, Belgio, Olanda, ma anche in Italia di fronte a Siracusa e Trieste. L'obiettivo delle azioni di protesta è sempre questo: il petrolio russo non deve sbarcare. Azioni di protesta che voglio anche "denunciare l'atteggiamento ipocrita dell'Unione Europea" perché con il petrolio venduto all'Ue, Regno Unito compreso, "la Russia sta guadagnando circa 200 milioni di euro al giorno, secondo i nostri calcoli", dice all'AdnKronos Alessandro Giannì, direttore Campagne di Greenpeace. L'associazione ambientalista monitora e intercetta le petroliere russe con i loro carichi da decine e decine di milioni di euro. Per farlo, ha messo a punto un sistema su twitter, "il Tanker Tracker - spiega Giannì - che si basa su dati pubblici liberamente disponibili anche dal sito Marine Traffic, dati di un sistema di segnalazione di posizionamento delle grandi navi (Automatic Electrification System) che serve per identificare una nave che poi fornisce la sua rotta, insomma è una misura di sicurezza. Ovviamente le navi possono sempre cambiare rotta e destinazione ma il sistema ha funzionato più di una volta". " L'embargo al petrolio russo non è ancora iniziato, ma la situazione è curiosa: c'è stata sì una contrazione dell'import in Europa che si attesta attorno a un milione di tonnellate al giorno, ma nel frattempo in Italia le importazioni sono raddoppiate. Oggi importiamo 450mila tonnellate al giorno, soprattutto a Siracusa dove c'è una raffineria riconducibile alla Lukoil che al momento lavora solo petrolio russo, e a Trieste, da dove parte un oleodotto verso la Germania dove si trovano raffinerie controllate da Gazprom. L'Italia si mostra ancora un porta importante per queste importazioni". "La proposta dell'embargo al petrolio russo, oltre a essere lenta, è soprattutto curiosa perché di fatto dice che dobbiamo andare a cercare questo petrolio da qualche altra parte - spiega il direttore Campagne di Greenpeace - E' come avere un figlio tossicodipendente a cui improvvisamente viene meno il pusher e quello che faccio è andare a cercare un altro pusher invece di disintossicarlo". Invece, secondo Greenpeace, l'Ue potrebbe ridurre la propria dipendenza dal petrolio russo intervenendo sul settore dei trasporti, che per il 70% dipendono dal petrolio russo assorbendo i due terzi del greggio che arriva in Europa. Con soli 5 interventi questa domanda si potrebbe ridurre: vietare i voli a corto raggio, ridurre i limiti di velocità, costi ragionevoli per il trasporto pubblico e più smart working. Solo con queste semplici azioni si potrebbe ridurre la domanda di petrolio del 7%, considerando che il 25% del petrolio che si consuma in Ue viene dalla Russia. Il fatto che l'Ue non ci pensi nemmeno non ci sembra andare nella direzione corretta, oltre al fatto che così diamo il tempo ai russi di trovare altri acquirenti per il proprio petrolio". "Situazione molto grave per gli attivisti in Russia, anche di altre associazioni" "In Russia c'è un ufficio di Greenpeace che, ovviamente, è in grande difficoltà - dice Giannì - Ed è in difficoltà non solo Greenpeace: bisogna rendere merito a tante altre organizzazioni che sin dalla prima settimana dello scoppio del conflitto hanno preso una posizione molto netta contro la guerra. La situazione è molto grave. Noi, anche per motivi di sicurezza, manteniamo al minimo le comunicazione con i nostri colleghi però è chiaro che è una situazione terrificante nella quale non pensavamo davvero di ritrovarci ancora. Il clima di guerra riduce sempre gli spazi di democrazia. In Ucraina non c'è un ufficio di Greenpeace ma operiamo con numerose associazioni sul posto ed è un legame che continuiamo a tenere vivo soprattutto dal versante dei Paesi Est europei. Greenpeace, per quello che può, continua a sostenere l'impegno di chi offre rifugio e assistenza alle troppe persone che fuggono da questo conflitto insensato". di Stefania Marignetti