COMUNICAZIONE ITALIANA
L'Ecosistema della Conoscenza e delle Relazioni

Comunicazione Italiana: L'eccellenza nel Knowledge Networking.

Siamo la principale Knowledge Networking company in Italia, attiva da oltre 20 anni. Il nostro network rappresenta l'eccellenza nella condivisione di conoscenze e nell'agevolazione delle interazioni tra professionisti e aziende. Comunicazione Italiana fornisce un ambiente di apprendimento collaborativo, in cui C-Level Manager provenienti da diversi settori si incontrano per scambiare esperienze e informazioni, ampliando le proprie competenze e creando opportunità di crescita personale e professionale. La nostra struttura organizzativa si compone di due entità distinte: una Società specializzata nel Knowledge Networking for Business e un'Associazione focalizzata sul Knowledge Networking for Advocacy. Queste due anime si incontrano nello Studio "phygital" Community House, il luogo dedicato agli Associati. È qui che le menti più brillanti si riuniscono in Eventi per collaborare, creare sinergie e sviluppare relazioni strategiche. Attraverso la nostra vasta gamma di attività, appuntamenti ed esperienze, vogliamo influenzare le "decisioni" e le "opinioni" dei nostri pubblici e stakeholders, promuovendo la sostenibilità economica, sociale ed ambientale del Paese. Unisciti a noi per ampliare le tue opportunità, ispirare il cambiamento e raggiungere nuovi traguardi nel tuo business e nel mondo delle relazioni.

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Matteo Berrettini si ritira dagli Internazionali Bnl d'Italia. "Non sono pronto per giocare a Roma, spero di esserlo per Parigi", dice il 28enne in una conferenza stampa. A Roma, l'azzurro avrebbe dovuto affrontare al primo turno Stefano Napolitano in un derby italiano. Al posto del romano, invece, scenderà in campo lo statunitense J.J. Wolf, lucky...

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"La nostra posizione, come Associazione italiana per la direzione del personale (Aidp), è da sempre quella della persone prima di tutto, quindi la tutela delle persone. Come si tutelano le persone? In molti modi. Intanto con la formazione, l'addestramento. Questa è la prima ricetta. Le persone vanno formate. Vanno adottate dei dispositivi di sicure...

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A rischio la metà delle colture entro il 2050: largo al caffè prodotto in laboratorio  Per molti “la vita inizia dopo il caffè”. A breve, potrà iniziare dopo una bella tazza di caffè sintetico, caffè prodotto in laboratorio. Nessuna stregoneria o alterazione, ma solo una constatazione: nel mondo, ogni giorno vengono consumate circa due miliardi di ...

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Internazionali d'Italia, Berrettini si ritira: "Non sono pronto per Roma"

(Adnkronos) - Matteo Berrettini si ritira dagli Internazionali Bnl d'Italia. "Non sono pronto per giocare a Roma, spero di esserlo per Parigi", dice il 28enne in una conferenza stampa. A Roma, l'azzurro avrebbe dovuto affrontare al primo turno Stefano Napolitano in un derby italiano. Al posto del romano, invece, scenderà in campo lo statunitense J.J. Wolf, lucky loser ripescato dopo lo stop nelle qualificazioni. Dopo Jannik Sinner, un altro beniamino del pubblico di casa si cancella dal tabellone principale.  "Non riuscirò a giocare a Roma, ho provato a fare di tutto. Non sono semplicemente pronto per competere e rischio di farmi male e stare fermo, ed è l'ultima cosa che voglio. Ho dovuto mettere da parte il cuore con quello che voglio fare a quello che devo fare. Mi sembra di aver già vissuto questa cosa. Spero che il 2025 per Roma sia l’anno buono", dice. "Nella mia testa è difficile, se non ci fosse stato il mio team…Quando rientrerò? E' difficile da dire, spero prima di Parigi o per Parigi. Mi serve allenarmi, rientrare con ritmo, con i passi che è giusto fare. Non sono lontanissimo ma non sono pronto per domani", ribadisce. "Cosa mi sento? E' difficile da spiegare. Non è un trauma, è la sensazione che potrebbe succedere qualcosa che non sono pronto. Ho preso medicinali che mi hanno debilitato e non mi sento pronto. Io questo torneo lo voglio giocare per essere competitivo e vincerlo, per la mia storia e perquello che sto provando a combattere. Non c’è niente di rotto, solo grandissima tristezza, è il torneo che mi ha fatto scegliere questo mestiere e sono tre anni che me lo portano via, provo solo tristezza per la mancata partecipazione", dice ancora.  Berrettini sta cercando la condizione migliore dopo un lungo periodo di stop per problemi fisici tra la fine del 2023, chiuso agli Us Open con una distorsione alla caviglia a inizio settembre, e l'inizio del 2024. Il romano ha aperto la sua stagione a Phoenix, arrivando in finale nel Challenger in Arizona a marzo. Nel Masters 1000 di Miami, sul cemento, è stato sconfitto al primo turno dallo scozzese Andy Murray. Quindi, lo squillo a Marrakech: sulla terra rossa in Marocco, l'azzurro ha trionfato conquistando il titolo. A Montercarlo, nel Masters 1000, eliminazione immediata. Ora, a Roma, il nuovo stop che

Infortuni, Mattio (Aidp): "La tutela delle persone prima di tutto, formazione è prima ricetta".

(Adnkronos) - "La nostra posizione, come Associazione italiana per la direzione del personale (Aidp), è da sempre quella della persone prima di tutto, quindi la tutela delle persone. Come si tutelano le persone? In molti modi. Intanto con la formazione, l'addestramento. Questa è la prima ricetta. Le persone vanno formate. Vanno adottate dei dispositivi di sicurezza. Vanno fatti i monitoraggi, i controlli interni, gli audit per verificare che tutto questo avvenga". Così, con Adnkronos/Labitalia, Roberto Mattio, vice presidente di Aidp, Associazione italiana dei direttori del personale, interviene sul tema della sicurezza del lavoro dopo l'ennesima tragedia con cinque operai morti a Casteldaccia nel Palermitano.  Secondo Mattio "questo è il primo grande elemento su cui noi tutti ci impegniamo ogni giorno, a far sì che le persone ricevano questa formazione indispensabile per fare correttamente il proprio lavoro e soprattutto in sicurezza".  "Il secondo tema -continua- è fare gli investimenti. Perché poi gli investimenti sono l'altro aspetto, non solo per formarsi, ma per investire. Investire in mezzi di sicurezza che aiutino le persone a tutelarsi. E una cosa su cui punto anche molto, lo dico sempre, è certificarsi", sottolinea. Secondo il vice presidente di Aidp, con la certificazione le aziende fanno il salto di qualità. "Ci sono sistemi di certificazione Iso che vanno da quelle dell'ambiente a quelle della sicurezza, e danno un'impostazione metodologica alle imprese, un modo di vedere le cose diverso. Vengono imposti degli indicatori da seguire che aiutano a tenere sotto controllo i fenomeni, i processi e così via".  E quindi per le aziende il consiglio è chiaro. "Laddove le aziende si certificano, qualunque sia l'ambito di certificazione, poi diventano delle eccellenze, perché comunque c'è un sistema che ti obbliga a tenere sotto controllo il processo. E questo è fondamentale", aggiunge.  Per Aidp la 'strada' verso una maggiore sicurezza sul lavoro passa da "formazione, training, investimenti e prevenzione. E dall'altro lato le certificazioni per rendersi più consapevoli", spiega Mattio. E per il vice presidente dell'associazione "uno degli elementi che poniamo sempre in evidenza nei corsi di formazione è far attenzione all'abitudine. L'abitudine è il peggior nemico del lavoratore. Succede che per azioni quasi automatiche, quasi banali non si presta la dovuta attenzione. Poi c'è sempre la fatalità, questo è ovvio. Però è importante che le aziende facciano la formazione, e ricordino sempre a tutti che bisogna essere sempre attenti. Perché anche l'operazione più banale può diventare pericolosa. E questo è molto, molto importante".  "Ecco perché è centrale fare formazione -continua- ripetere le cose, tenere sempre alto il livello di attenzione di tutti i soggetti che nelle organizzazioni lavorano", aggiunge.  E le nuove tecnologie possono venire utili in un percorso virtuoso sulla sicurezza del lavoro. "L'intelligenza artificiale di per sé aiuta in tutti i campi, anche in questo può aiutare se semplifica il processo, se aiuta a tenere sotto controllo i fenomeni, a tenere alta l'attenzione, ad allertare", continua. Centrali sono però gli investimenti. "L'importante è investire, le aziende devono farlo puntando sulla prevenzione e l'intelligenza artificiale sicuramente può aiutare le aziende anche su questo", conclude.

Cambiamento climatico, presto saremo costretti a bere caffè sintetico

(Adnkronos) - A rischio la metà delle colture entro il 2050: largo al caffè prodotto in laboratorio  Per molti “la vita inizia dopo il caffè”. A breve, potrà iniziare dopo una bella tazza di caffè sintetico, caffè prodotto in laboratorio. Nessuna stregoneria o alterazione, ma solo una constatazione: nel mondo, ogni giorno vengono consumate circa due miliardi di tazzine e la produzione presto sarà insufficiente. Resistere al suo profumo e alla caffeina è, per miliardi di persone, impossibile. Così come è impossibile non tenere conto della scarsa sostenibilità, sociale e ambientale, di questa bevanda. Un’analisi del Wall Street Journal spiega perché il passaggio, almeno parziale, al caffè sintetico è inevitabile. La definizione fa più paura di quanto non dovrebbe. Per caffè prodotto in laboratorio, o sintetico, si intende, infatti, coltivare i chicchi in ambienti artificiali, utilizzando gli stessi bioreattori che oggi vengono sperimentati per coltivare piante a bordo delle Stazioni Spaziali. I rischi del cambiamento climatico sul caffè sono ben noti agli addetti ai lavori, tanto che la qualità più pregiata, l’Arabica, è stata sequenziata geneticamente per preservarla di fronte ai rischi di un clima sempre più estremo. Una decina di aziende sta perfezionando la produzione di caffè in laboratorio, mentre grossi marchi commerciali, come Starbucks, stanno finanziando operazioni di rafforzamento genetico dei semi così da renderli resistenti al cambiamento climatico creando dei semi “proprietari”.  Una startup di Seattle, Atomo Coffee, ha individuato e catalogato, le singole molecole che conferiscono al caffè le sue inconfondibili caratteristiche organolettiche. In seguito, le ha sostituite in laboratorio con sostanze di origine vegetale ottenendo una bevanda un po’ meno amara ma del tutto simile al caffè convenzionale. Questo perché “L’esperienza che otteniamo dal caffè – spiega Adam Maxwell, ceo di Voyager Foods - è in realtà guidata dal processo utilizzato per produrli”. Insomma, il gusto dipende più dalla tostatura che dal chicco in sé.  Molto più dolce, invece, è il conto ambientale: l’esperimento di Atomo Coffee ha generato il 93% in meno di emissioni di carbonio e il 94% in meno di acqua utilizzata rispetto al caffè tradizionale. Questa preziosa bevanda non è sostenibile sia da un punto di vista sociale, che ambientale. Secondo la National Coffee Association, il caffè viene oggi coltivato in oltre cinquanta Paesi del mondo, per lo più situati nella cosiddetta “Bean Belt”, la “cintura dei chicchi di caffè”, che copre le zone tropicali di America, Africa e Asia. Quasi il 90% della produzione mondiale si concentra in dieci Paesi guidati dal Brasile, seguito da Vietnam, Colombia, Indonesia ed Etiopia.  Spesso, chi è impiegato nella raccolta dei chicchi, lavora in condizioni climatiche avverse e subisce legislazioni nazionali poco attente alla tutela dei lavoratori. Per usare un eufemismo. “Produrre in massa il caffè convenzionale incide negativamente sull’ambiente e implica lo sfruttamento del lavoro delle comunità locali”, sintetizza Heiko Rischer, del VVT Technical Research Centre, in Finlandia. Il problema ambientale è altrettanto composito.  Innanzitutto, a una crescente richiesta di caffè corrisponde una maggiore deforestazione, cui va aggiunto il consumo idrico richiesto dalle piantagioni. Inoltre, secondo le analisi del Wall Street Journal, il cambiamento climatico potrebbe fare presto la sua parte per rendere impossibile, o molto difficile, la coltivazione del caffè. Se, come sembra, non ci sarà un calo del consumo, entro il 2050 circa il 50% delle terre che oggi producono caffè potrebbero diventare inadatte alla coltivazione e in Brasile, il primo Paese produttore, la percentuale potrebbe salire addirittura fino all'88%. Questo si tradurrebbe in una drastica riduzione dell'offerta, con un conseguente aumento dei prezzi. Fenomeno che, in parte, si sta già verificando. Una pianta del caffé Arabica produce fra i 450 e i 900 grammi di materia prima l'anno. Questo vuol dire che se una persona beve due tazzine di caffè al giorno ha bisogno dell’intera produzione di circa 20 alberi di caffè ogni anno. Una produzione che il cambiamento climatico rende impossibile. D’altronde il caffè non è da solo. Analoghe problematiche ambientali sono sempre più diffuse nel mercato della carne, il principale responsabile dell’emissione di gas serra, e del cacao, che ha raggiunto prezzi record. Le colture di cacao sono molto sensibili ai cambiamenti climatici: circa il 70% di questo alimento proviene dall’Africa occidentale, una delle regioni che sta subendo maggiormente gli effetti del cambiamento climatico.  C’è un rischio concreto che con il caffè avvenga la stessa cosa, in proporzioni persino maggiori. Le strade sono due: contenerne il consumo, e produrre il caffè in laboratorio. Meglio se utilizzate insieme, così da ridurre al minimo la necessità di creare caffè sintetico, che verosimilmente avrà costi piuttosto sostenuti. Il prezzo del caffè in laboratorio potrà essere più alto di quello attuale, ma molto più basso di quello del 2050.  Senza che l’effetto e il gusto del caffè subiscano chissà quali conseguenze. E soprattutto preservando le persone e il pianeta. Magari, qualcuno tra trent’anni guarderà il cielo e, sorseggiando la sua tazzina, si libererà in un canto: “Ah, che bell' 'o cafè, pure in laboratorio 'o sanno fa”.